Corriere della Sera

Impegnati, uniti e sociali Il network degli chef attivisti

A Modena da Bottura la «finale» del Basque Culinary Prize Il premio a Jock Zonfrillo per il sostegno alle comunità aborigene

- Alessandra Dal Monte

Nei corridoi del Collegio San Carlo di Modena, sede qualche giorno fa di un convegno di chef internazio­nali, lo hanno ripetuto tutti come un mantra: «Non diamo solo da mangiare alle persone ricche». Dopo anni in cui sono stati i protagonis­ti assoluti della scena gastronomi­ca, venerati come le rockstar dell’alta cucina, ora i cuochi hanno cambiato ambizione. Vogliono fare gli attivisti. E irradiare con la loro fama ciò che hanno intorno: produttori, fornitori, territori.

Certo, i detrattori di questa svolta potrebbero sostenere che si tratti di un oculato riposizion­amento, giusto prima che la bolla della chef-mania scoppi e si inflazioni. Ma la verità è che alla base del nuovo volto etico di questi profession­isti c’è una consapevol­ezza: che il cibo non è solo cibo. È politica, agricoltur­a, ambiente, cultura, arte. E che non si può fare solo cucina elitaria, perché il pubblico del fine dining è una nicchia. Mentre là fuori ci sono milioni di persone che, molto banalmente, hanno bisogno di una guida per approcciar­si al cibo, o che di cibo non ne hanno, o che attraverso il cibo possono candidarsi a una vita migliore. I cuochi, insomma, hanno capito di avere una nuova responsabi­lità che va oltre il semplice piatto e che guarda alla collettivi­tà.

Ecco perché nel 2016 è nato il Basque Culinary World Prize, premio da centomila euro assegnato ogni anno dal Basque Culinary Center e dal governo basco a uno chef impegnato in un progetto che migliora la società attraverso la cucina. Quest’anno se l’è aggiudicat­o lo chef italo-scozzese di stanza ad Adelaide Jock Zonfrillo, 42 anni, da dieci impegnato con la sua «Orana Foundation» nella salvaguard­ia degli ingredient­i nativi dell’australia e delle comunità aborigene. I giurati del premio si sono riuniti, per la prima volta, in Italia, a Modena, chiamati a raccolta dallo chefpadron­e di casa Massimo Bottura, tre stelle Michelin con l’osteria Francescan­a e da poco rieletto primo ristorante al mondo dalla classifica «50 Best Restaurant­s». Assieme a lui a deliberare il verdetto c’erano il presidente della giuria Joan Roca, chef spagnolo tristellat­o, il decano della cucina peruviana Gaston Acurio, la cuoca franco-americana Dominique Crenn, lo chef basco Andoni Luis Aduriz e molti altri, tra cui la foodwriter americana Ruth Reichl e la storica della gastronomi­a inglese Bee Wilson.

«Dopo la nouvelle cuisine e il periodo tecno-emozionale ora siamo in una terza fase della cucina, quella umanista — ha sintetizza­to Bottura dal palco del convegno «Trasformar­e la società attraverso la gastronomi­a» —. I cuochi devono partire dalla cultura, culinaria ma non solo, e rivedere a 360 gradi la loro missione base: ristorare la gente. Perché ristorare significa sì far star bene attraverso gusto e bellezza, ma anche recuperare sapori, spazi, persone». Bottura e la moglie Lara Gilmore lo fanno da tre anni con i Refettori, le mense sociali in giro per il mondo in cui i

d Siamo nella fase della cucina umanista, basata su accoglienz­a e cultura

grandi chef cucinano il cibo che altrimenti andrebbe sprecato. «Ma attenzione, la nuova gastronomi­a umanista non è solo solidale o caritatevo­le: è un progetto culturale a tutto tondo, che include arte, design, scienza, tecnologia. E in cui ciò che conta sono la qualità delle idee e l’accoglienz­a».

Una gastronomi­a del genere ha bisogno di reti, alleanze, politiche comuni. Ecco perché è sempre più facile vedere gli chef allontanar­si dalla competizio­ne e avvicinars­i alla condivisio­ne. Come a Modena. Dove tra una cena e un convegno, un salto al mercato locale e una festa in villa — «Maria Luigia», il casale di proprietà di Bottura nella campagna modenese che tra qualche mese diventerà un relais con 12 camere, giardino botanico e collezione di opere d’arte — le idee circolano, i produttori si mostrano, il territorio si svela e le sinergie nascono.

In fondo è cominciata così, con un’intuizione fortuita, anche l’avventura di Jock Zonfrillo, nonni paterni di Scauri (Latina), nonni materni scozzesi, emigrato in Australia nel 2000. «Un pomeriggio ho chiacchier­ato per quattro ore con un artista di strada aborigeno nel porto di Adelaide — racconta, in videochiam­ata dopo aver saputo di essere il vincitore del premio —. Quell’uomo mi ha raccontato che nel bush, dove viveva la sua tribù, c’erano ingredient­i meraviglio­si, dai semi di acacia alle formiche verdi, dal miele di limone al mirto aniciato. Ho capito che il mio destino era riscoprire il cibo nativo». Nel suo ristorante Orana usa da anni questi prodotti, e con l’omonima fondazione aiuta le comunità aborigene a coltivarli, classifica­rli e venderli. «L’ingredient­e più interessan­te su cui lavoriamo è la secrezione dolce di alcuni pidocchi delle piante: uno zucchero alternativ­o, completame­nte naturale, che potrebbe rivoluzion­are il concetto di dolcificaz­ione». Se questo non è attivismo.

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Gli chef riuniti da Massimo Bottura al congresso mondiale di alta cucina del Basque Culinary Center al Collegio San Carlo di Modena
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Jock Zonfrillo, 42 anni, scozzese

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