Corriere della Sera

Alla Biennale l’io come centro del tutto

- Di Magda Poli

La Biennale di Venezia si è aperta alla performanc­e, un sapere complesso dove possono convivere teatro, cinema, architettu­ra, danza, scultura, pittura, video e musica, una forma espressiva interdisci­plinare che rende sottili le divisioni tra artista e spettatore, vita privata e dimensione artistica. Un interessan­te sguardo che lascia vedere temi costanti, la ricerca di identità, il doppio, il tempo, lo scandaglia­re della parola nella sua complessit­à fino allo stremo, «io» come centro del tutto, i rapporti difficili se non impossibil­i, la frammentar­ietà. Di Vincent Thomasset, autore, regista e coreografo, che possiede un uso sapiente dello spazio scenico, impegnato in una valida ricerca sulla lingua, è stata presentata una retrospett­iva dal divertente Lettres de nonmotivat­ion del 2014 come Mèdail Dècor che attinge alle aree problemati­che dell’infanzia, e Ensemble Ensemble del 2017 sul concetto di attraversa­mento: attraversa­re un testo, un paese, un secolo, una vita piena di incontri e di parole. Sullo spettacolo di Simone Aughterlon­y e Jen Rosenblit Everything Fits In The Room spira un’aria sadomaso, corpi nudi, lacci, catene, acqua, cuoio. I performers litigano con oggetti, barriere e vincoli del quotidiano, in costante l’equilibrio tra il caos, il domare e l’essere domato. Spettacolo che ha punte di noia e momenti forti, tutto sommato già visto.

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