Corriere della Sera

In edicola e in libreria il saggio «Marchionne-lo straniero»

Viaggio nell’universo Fca per raccontare un manager visionario In edicola e in libreria il saggio «Marchionne - Lo straniero»

- di Raffaella Polato

Premessa: questo non è un instant book. È un viaggio durato tre anni nelle fabbriche Fca d’italia e d’america, tra i loro operai e tecnici e dirigenti, tra due culture di due diversi mondi che nessuno, prima di Sergio Marchionne, era riuscito industrial­mente a integrare. E — soprattutt­o — ad esaltare al punto da trasformar­e due predestina­ti perdenti in un unico, vincente (sin qui) player globale. Perciò è un caso, solo un caso che Marchionne - Lo straniero fosse pronto ed esca adesso, domani, a una settimana dalla scomparsa dell’uomo che Tim Cook — non proprio uno qualunque: l’erede di Steve Jobs — ha celebrato come «un visionario dell’industria dell’auto e un grande leader».

È una casualità «buona», questa volta, quasi una sorta di tributo in sé. Il lavoro di Paolo Bricco non è un veloce collage, di quelli che si mettono insieme in pochi giorni sulla spinta dell’emozione collettiva attorno a certi addii. Non è partito, tre anni fa, per fissare la memoria di Sergio Marchionne. L’obiettivo era raccontarn­e la presenza. Ciò che Fiat era, ciò che è diventata in questi 14 anni, quali successi e quali «incompiute» il manager-imprendito­re avrebbe comunque lasciato, dal 2019, a chi ne avrebbe ricevuto il testimone in Fca (probabilme­nte lo stesso Mike Manley, nominato dal drammatico consiglio di sabato 22 luglio).

Molti hanno detto, e diranmente no: «Io lo conoscevo». Molti sono anche convinti, che sia così. Sergio Marchionne era in realtà un uomo di una tale lineare complessit­à che solo i pochissimi (e forse neppure tutti) che gli erano quotidiana­mente vicini lo possono real- dire. Per gli altri, tentare di capirlo, di sapere almeno in parte chi fosse senza andare a tentoni tra le mille agio/odiografie significa intraprend­ere un viaggio. Non si capisce Marchionne e non si capisce la Fiat, se non ci si ricorda che cos’erano l’azienda, Torino, l’italia prima di lui e nei giorni in cui lui arrivò, marziano nella città orfana della monarchia Agnelli e nel Paese di bizantinis­mi politici che usò, probabilme­nte: ma tirandosi fuori dai rituali dell’una e dell’altra. Né è possibile parlare di quel che le sue disruption, come oggi definiremm­o anche la rottura con la sinistra sindacale da un lato e con Confindust­ria dall’altro, se non si entra nelle singole fabbriche e non si parla con chi ci lavora, e magari ci lavorava anche prima dell’era Marchionne. Ed è inutile fare il confronto con l’america di Chrysler, raccontare quell’epopea e il diverso rapporto con i sindacati e la politica Usa (direttamen­te alla Casa Bianca, ricordiamo­lo), se non si ripete lo stesso percorso a Detroit, a Washington, nella Toronto in cui Marchionne è cresciuto.

È ciò che ha fatto l’inviato del Sole 24 Ore nel saggio da domani nelle edicole insieme al Corriere della Sera e, naturalmen­te, nelle librerie (Rizzoli). Questo, e molto altro. La lettura dello sviluppo sociale attorno a Fiat qui, a Chrysler di là dall’atlantico. I bilanci e i numeri: prima, durante, dopo. Le sfide della Silicon Valley, o di outsider alla Elon Musk. Le scommesse vinte e quelle perse. Trecento pagine in cui Marchionne - Lo straniero è raccontato con la visione ampia dell’inquadrame­nto storico e la precisione a prova di interpreta­zioni delle analisi economiche. Un saggio, sì. Cui dà forma però lo stile del miglior giornalism­o.

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 ??  ?? Sergio Marchionne in una foto del 2010 con l’allora presidente Usa, Barack Obama in visita agli stabilimen­ti Fca di Detroit
Sergio Marchionne in una foto del 2010 con l’allora presidente Usa, Barack Obama in visita agli stabilimen­ti Fca di Detroit
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