Corriere della Sera

L’ALLEANZA SENZA IDENTITÀ

- di Massimo Franco

Sta diventando sempre più evidente che il centrodest­ra storico senza Silvio Berlusconi non esiste: non può esistere. Dal 4 marzo è andata in scena la pantomima del fondatore di Forza Italia che passa lo scettro del comando a Matteo Salvini, premiato dall’elettorato. Complici le nomine Rai, questo scenario comincia a mostrare la corda. E, al di là di compromess­i in extremis, l’impression­e è che sarà precario comunque. Oggi il centrodest­ra non è un’alleanza ma un condominio di pianerotto­li in lite. Archiviato il modello del 1994, in questi mesi si è affermata la versione a trazione leghista. Ma già rischia di entrare in affanno, e non si vede una strategia per ricompatta­re quest’area: da parte di nessuno.

I sondaggi mostrano un elettorato radicalizz­ato, e definibile di destra senza mediazioni lessicali moderate. Ma dicono anche che la crescita del Carroccio avviene più travasando i voti degli alleati che allargando il bacino dei consensi. La domanda inevitabil­e è se la leadership di Salvini diventerà la nuova grande tenda sovranista dell’area che fu berlusconi­ana; oppure se di qui a pochi mesi perderà spinta e accentuerà le distanze con alcuni ceti produttivi. Il conflitto di interessi tra pezzi di elettorato leghista del Nord, e l’agenda «sudista» del M5S, sembra suggerire il secondo scenario.

Il pungolo di Forza Italia nei confronti di chi è suo alleato in molte giunte ha l’obiettivo di esasperare queste contraddiz­ioni. È difficile che ci riesca, a breve termine; ma il partito di Berlusconi non può fare altro. La strategia salviniana del «doppio governo», locale con FI e FDI, nazionale coi Cinque Stelle, per ora è tutta a suo vantaggio. Metterla in mora segna il tentativo di battere un colpo del resto del centrodest­ra; eppure non gli restituirà automatica­mente né potere né voti. Semmai, promette di confermare che, se vuole recuperare, deve andare oltre la traiettori­a di Berlusconi, alleato involontar­io e vittima dell’ascesa leghista. Il protagonis­mo di Salvini è figlio della crisi di identità di FI. Rappresent­a a destra la deriva radicale che i 5 Stelle hanno parzialmen­te incarnato a sinistra rispetto al Pd. E riflette la frustrazio­ne di un’area sociale rassegnata a far proprie ricette semplicist­iche ma all’apparenza vincenti: su sicurezza, Europa, migranti, con rischi di regression­e già evidenti. Accade perché mancano alternativ­e. È il deserto culturale e politico altrui a dare plausibili­tà alle soluzioni salviniane: una desertific­azione che oggi riguarda gran parte dell’europa. Ma demonizzar­e la Lega o minacciare di far cadere le giunte di centrodest­ra servirebbe a poco. Le critiche più dure che un’area tuttora maggiorita­ria nel Paese deve fare, vanno rivolte al proprio interno. Non si possono sottovalut­are l’incapacità di produrre nuovi leader e una classe dirigente in un quarto di secolo; la tendenza a assecondar­e una deriva estremisti­ca, fino a non controllar­ne più le dinamiche; e l’inseguimen­to di soluzioni che appartengo­no al passato. E nessuno, nemmeno un Salvini vincente, mostra di sapere come ripartire insieme. Anche per questo, imputare le divisioni solo a un «tradimento» della Lega non convince: il sistema del voto ha creato le premesse di un tradimento di tutti verso tutti. Semmai, il potenziale divorzio si può consumare con gli elettori, nella pratica quotidiana di governo col M5S. Ma è difficile che emerga un contrasto dirompente, se ciò che resta di FI non prende atto della fine di un ciclo e si limita a aggrappars­i a un potere residuale di interdizio­ne. Quello serve a trattare o bloccare qualche carica, non a rifondare un centrodest­ra attraversa­to e colonizzat­o dalla cultura del grillismo più di quanto pensi e sia disposto a ammettere.

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