La maggioranza per la Tav: ora parliamo noi
Anche il Napoleon non è più lo stesso. L’hotel che negli anni degli scontri e della resistenza attiva, così allora la chiamavano i No Tav, era considerato il simbolo del collaborazionismo con gli invasori dell’alta velocità, adesso ha una facciata e una clientela tutta nuova.
Dopo sei mesi di chiusura per lavori, ha riaperto come albergo tematico dedicato alle due ruote. Al posto degli agenti dei reparti mobili spediti da ogni parte d’italia a presidiare il cantiere di Chiomonte, adesso ci sono ciclisti e motociclisti.
E almeno ora di notte si dorme tranquilli, senza più le ronde degli attivisti più radicali che facevano la battitura per rovinare il sonno ai poliziotti e incidevano svastiche sulle auto delle cameriere. Tutto intorno, pure il centro di Susa è cambiato, con i vecchi caffè sostituiti da locali più moderni, meno paese e più città. «Si vive meglio, certo» racconta Patrizia Ferrarini, titolare dell’albergo e presidente dell’associazione commercianti della Val Susa. «Non c’è più la paura quotidiana che possa scapparci il morto. Ma il contesto rimane quello di una ostilità diffusa, solo più strisciante».
L’unica cosa che non cambia in questo lembo boschivo d’italia è il silenzio della sua maggioranza silenziosa. Amministratori, imprenditori, commercianti, operai, pensionati, favorevoli al treno veloce, che in questo decennio segnato dalle contestazioni all’opera, hanno sempre marciato in ordine sparso, regalando agli avversari il privilegio di sentirsi moltitudine. Alle ultime elezioni politiche le liste No Tav, Movimento 5 Stelle e Potere al popolo, hanno perso il 23% rispetto al 2013. Negli ultimi due anni non si è mai andati oltre le duemila persone per manifestazione. Eppure, la sola voce che si leva è quella No Tav. «L’ostracismo è un elemento decisivo» continua Ferrarini. «Le amministrazioni No Tav non ti mandano i clienti, non fanno lavorare chi non è con loro. Per chi ha delle comunità o delle aziende da mandare avanti, il meno peggio è adeguarsi. E quindi tacere».
La conferma dell’esistenza di un condizionamento ambientale arriva dalla laconicità di Giovanni Marcon, titolare di due aziende di materie plastiche a Bussoleno, la capitale No Tav, uno dei pochi imprenditori locali a essersi esposto a favore della Torinolione. «Lavoro più in Francia che a casa mia. Le commesse delle amministrazioni No Tav finiscono sempre ai soliti noti. Diciamo che la Val Susa è un posto molto particolare». L’ex amministratore delegato di Iren Roberto Garbati è tornato nella sua Chiomonte per aprire Imprend d’oc, una associazione che ambisce a raccogliere gli indigeni delle partite Iva. «Qui vige il principio rovesciato della Dc e dei Berlusconi: a parole tutti contrari alla Tav, ma nelle urne poi votano a favore. Non è un caso che la Lega, quella prima dell’accordo con M5S, abbia fatto il pieno. Ma qualcosa sta cambiando. C’è meno paura di nuove discriminazioni. Ben venga un referendum sull’opera, ci darebbe la possibilità di farci sentire, oltre che di contarci».
La vulgata dei primi anni duemila metteva alla testa dei No Tav il partito dei sindaci. Ma l’abituale divisione tra alta e bassa valle, favorevole la prima, contraria la seconda, è meno netta di qualche anno fa, con i comuni di Chianocco, San Giorgio di Susa, Rosta e Buttigliera passati ad amministrazioni favorevoli all’opera, con Rubiana, paesino nell’epicentro della protesta che per non stare in compagnia dei duri e puri ha cambiato addirittura comunità montana. Ieri Riccardo Joannas, primo cittadino di Salbertrand, è sceso a Torino all’incontro organizzato da Confindustria Piemonte per leggere la lettera che ha scritto a Danilo Toninelli. «Caro ministro, venga a farsi un giro da noi. Non abbiamo lavoro. Sono io che ho chiesto l’apertura dei cantieri nel mio territorio. Li ritengo una delle poche possibilità di dare un salario a tanti giovani disoccupati della valle. E se i ragazzi scappano, il paese muore. Come sindaci, ci opporremo in ogni modo alla sospensione della Tav».
Ezio Paini è il decano degli amministratori dell’alta valle. La sua Giaglione e l’ultima propaggine della Savoia dove si parla ancora un dialetto franco provenzale. L’unica strada per raggiungere il cantiere di Chiomonte, era un pezzo della via Francigena che passava dalle frazioni più popolose del paese. Nel 2012 venne cacciato da Rifondazione comunista per aver commesso abiura a favore della Tav. Si ricandidò, e vinse ancora. «Il Movimento No Tav si regge ormai su una finzione. In Valle si è sgonfiato, ai cortei viene quasi esclusivamente gente da fuori. La pressione del biennio 20112013 è un ricordo, i militanti più estremi vivono nella paura che qualcuno scopra la nudità del re e la sua propaganda. Per questo, bisogna darsi una mossa. Ora, o mai più».
Ostilità diffusa
Gli anni degli scontri? «Ma il contesto rimane quello di ostilità diffusa, solo più strisciante»