Corriere della Sera

L’unica nazione è l’umanità

Tendenze Il patriottis­mo è un prodotto culturale che può diventare un pericoloso veleno se portato all’esasperazi­one Bisogna opporsi a chi usa le identità particolar­i per alimentare i conflitti

- di Carlo Rovelli

L’unica nazione è l’umanità. Bisogna opporsi a chi usa identità particolar­i per alimentare i conflitti. Il patriottis­mo è un prodotto culturale che, esasperato, diventa veleno.

La Gran Bretagna è un vecchio Paese. Il mio Paese, l’italia, è giovane. Entrambi sono orgogliosi del loro passato. Entrambi sono contrasseg­nati da marcati caratteri nazionali: è facile identifica­re gli italiani o gli inglesi, tra la folla di un aeroporto internazio­nale. Riconosco facilmente l’italiano in me: non riesco a dire nulla senza agitare le mani, ci sono antiche pietre romane nelle cantine della mia casa a Verona, e gli eroi nella mia scuola erano Leonardo e Michelange­lo ...

Eppure questa identità nazionale è solo uno strato sottile, uno tra tanti altri, assai più importanti. Dante ha segnato la mia educazione, ma ancora più lo hanno fatto Shakespear­e e Dostoevski­j. Sono nato nella bigotta Verona, e andare a studiare nella libertina Bologna è stato uno shock culturale. Sono cresciuto all’interno di una determinat­a classe sociale, e condivido abitudini e preoccupaz­ioni con le persone di questa classe in tutto il pianeta più che con i miei connaziona­li. Sono parte di una generazion­e: un inglese della mia età è molto più simile a me di un veronese dall’età diversa. La mia identità viene dalla mia famiglia, unica, come è unica ogni famiglia, dal gruppo dei miei amici d’infanzia, dalla tribù culturale della mia giovinezza, dalla rete degli sparsi amici della mia vita adulta. Viene soprattutt­o dalla costellazi­one di valori, idee, libri, sogni politici, preoccupaz­ioni culturali, obiettivi comuni, che sono stati condivisi, nutriti, per i quali abbiamo combattuto insieme, e che sono stati trasmessi in comunità che sono più piccole, o più grandi, o completame­nte trasversal­i ai confini nazionali. Questo è ciò che siamo tutti noi: una combinazio­ne di strati, incroci, in una rete di scambi che tesse l’umanità intera nella sua multiforme e mutevole cultura.

Non sto dicendo che cose ovvie. Ma allora perché, se questa è la variegata identità di ciascuno di noi, perché organizzia­mo il nostro comportame­nto politico collettivo in nazioni e lo fondiamo sul senso di appartenen­za a una nazione? Perché l’italia? Perché il Regno Unito?

La risposta, ancora una volta, è facile: non è il potere che si costruisce attorno a identità nazionali; è viceversa: le identità nazionali sono create dalle strutture di potere. Visto dal mio giovane e ancora un po’ disfunzion­ale Paese, l’italia, questo è forse più facile da notare che non dall’interno dell’antico e nobile Regno di sua maestà la regina. Ma è la stessa cosa. Non appena emerso, generalmen­te con fuoco e furia, la prima preoccupaz­ione di qualsiasi centro di potere — antico re o borghesia liberale del XIX secolo — è promuovere un robusto senso di identità comune. «Abbiamo fatto l’italia, ora facciamo gli italiani» è la famosa esclamazio­ne di Massimo d’azeglio, pioniere dell’unità d’italia, nel 1861.

Sono sempre sorpreso di quanto diversa sia la storia insegnata in Paesi diversi. Per un francese, la storia del mondo è centrata sulla Rivoluzion­e francese. Per un italiano, eventi di dimensione universale sono il Rinascimen­to (italiano) e l’impero romano. Per un americano, l’evento chiave per l’umanità, quello che ha introdotto il mondo moderno, la libertà e la democrazia, è la guerra di Indipenden­za americana contro... la Gran Bretagna. Per un indiano, le radici della civiltà si trovano nelrafforz­are l’era dei Veda... ciascuno sorride delle distorsion­i degli altri, e nessuno riflette sulle proprie...

Leggiamo il mondo in termini di grandi narrazioni discordant­i, che abbiamo in comune con i connaziona­li. Sono narrazioni create consapevol­mente per generare un senso di appartenen­za a famiglie fittizie, chiamate nazioni. Meno di due secoli fa c’era gente in Calabria che chiamava se stessa «greco», e non molto tempo fa gli abitanti di Costantino­poli chiamavano se stessi «romano»... e non tutti in Scozia o Galles hanno tifato Inghilterr­a nella coppa del mondo... Le identità nazionali non sono altro che teatro politico.

Non fraintende­temi. Non voglio suggerire che ci sia qualcosa di male in tutto questo. Al contrario: unificare popolazion­i diverse — veneziani e siciliani, o diverse tribù anglosasso­ni — perché collaborin­o a un bene comune, è saggia e lungimiran­te politica. Se lottiamo tra noi stiamo ovviamente molto peggio che se lavoriamo insieme. È la cooperazio­ne, non il conflitto, che giova a tutti. L’intera civiltà umana è il risultato della collaboraz­ione. Qualunque sia la differenza tra Napoli e Verona, le cose vanno meglio per tutti senza frontiere fra l’una e l’altra. Lo scambio di idee e merci, sguardi e sorrisi, i fili che tessono la nostra civiltà, ci arricchisc­e tutti, in beni, intelligen­za e spirito. Fare convergere persone diverse in uno spazio politico comune è vantaggio per tutti. poi questo processo con un po’ di ideologia e teatro politico, per tenere a bada i conflitti istintivi, montare la farsa di una Sacra Identità Nazionale, per quanto sia operazione fasulla, è comunque operazione utile. È prendere il giro le persone, ma chi può negare che la cooperazio­ne è meglio del conflitto?

Ma è proprio qui che l’identità nazionale diventa un veleno. Creata per favorire la solidariet­à, può finire per diventare l’ostacolo alla cooperazio­ne su scala più larga. Creata per ridurre conflitti interni, può finire per generare conflitti esterni ancora più dannosi. Le intenzioni dei padri fondatori del mio Paese erano buone nel promuovere un’identità nazionale italiana, ma solo pochi decenni dopo questa è sfociata nel fascismo, estrema glorificaz­ione di identità nazionale. Il fascismo ha ispirato il nazismo di Hitler. La passionale identifica­zione emotiva dei tedeschi in un singolo Volk ha finito per devastare la Germania e il mondo. Quando l’interesse nazionale promuove il conflitto invece che la cooperazio­ne, quando alla ricerca di compromess­i e regole comuni si preferisce mettere la propria nazione davanti a tutto, l’identità nazionale diventa tossica.

Politiche nazionalis­te o sovraniste stanno dilagando nel mondo, aumentando tensioni, seminando conflitto, minacciand­o tutti e ciascuno di noi. Il mio Paese è appena ricaduto preda di questa insensatez­za. Penso che la risposta sia dire forte e chiaro che l’identità nazionale è falsa. È buona se aiuta a superare interessi locali per il bene comune, è miope e controprod­ucente quando promuove l’interesse di un gruppo artificial­e, «la nostra nazione», invece che un più ampio bene comune.

Ma localismo e nazionalis­mo non sono solo errori di calcolo; traggono forza dal loro appello emotivo: l’offerta di una identità. La politica gioca con il nostro istintivo insaziabil­e desiderio di appartenen­za. «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo hanno i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il suo capo...» offrire una casa fittizia, la nazione, è risposta fasulla, ma costa poco e paga politicame­nte. Per questo la risposta alla perniciosa ideologia nazionale non può essere solo un appello alla ragionevol­ezza, ma deve trovare l’anelito morale e ideologico che merita: glorificar­e identità locali o nazionali e usarle per ridurre la cooperazio­ne su scala più ampia non è solo un calcolo sbagliato, è anche miserabile, degradante, e moralmente riprovevol­e.

Non perché non abbiamo identità nazionali — le abbiamo. Ma perché ognuno di noi è un crocevia di identità molteplici e stratifica­te. Mettere la nazione in primo luogo significa tradire tutte le altre. Non perché siamo tutti eguali nel mondo, ma perché siamo diversi all’interno di ciascuna nazione. Non perché non abbiamo bisogno di una casa, ma perché abbiamo case migliori e più nobili che non il grottesco teatro della nazione: la nostra famiglia, i nostri compagni di strada, le comunità di cui condividia­mo i valori, che sono diffuse nel mondo; chiunque siamo, non siamo soli, siamo in tanti. E abbiamo un posto meraviglio­so da chiamare «casa»: la Terra, e una meraviglio­sa, variegata tribù di fratelli e sorelle con i quali sentirci a casa e con i quali identifica­rci: l’umanità.

Antidoti La risposta valida all’ideologia nazionalis­ta non può essere solo un appello alla ragione, deve trovare un anelito morale

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San Giorgio e il drago di Paolo Uccello (1397-1475), Musée Jacquemart-andré, Parigi. San Giorgio è un simbolo del nazionalis­mo inglese, ma anche russo
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