«Noi contro loro Ecco come può formarsi l’idea»
Più volte dopo le aggressioni di questi giorni si è sentito dire che il razzismo non c’entra. Lei è d’accordo?
«La giustificazione è “l’abbiamo fatto perché era un ladro, non un migrante, quindi non siamo razzisti”. Pensiamo che lo sia solo chi aderisce a teorie compiute sulla superiorità della “razza” bianca. Non è così, conta il meccanismo di pensiero alla base: considerare meno umana la persona che appartiene a un gruppo diverso dal nostro». Chiara Volpato insegna Psicologia sociale all’università Bicocca di Milano e sui processi di pensiero alla base del razzismo ha scritto un libro, Deumanizzazione, per Laterza.
Cosa intende?
«Uccidere una persona perché potrebbe rubare significa presupporre che non è uguale a noi, considerarla meno che un essere umano, una “bestia”, “inferiore”. È il processo di pensiero comune a tutte le forme di violenza basate su odio e pregiudizio, alla persecuzione dell’altro in quanto tale: che sia ebreo, gay o marocchino. È emblematico in questo senso anche quello che è successo al giovane indiano morto a Caserta».
Si riferisce al bracciante agricolo abbandonato alla stazione di Caserta, morto poi in ospedale per disidratazione e denutrizione.
«Se ne è parlato poco, ma è stato trattato letteralmente come un oggetto, uno strumento che quando non serve più può essere buttato via. Meno che umano, al punto che neppure lo hanno portato da un medico».
Pensa che influisca quello che Mattarella ha chiamato «clima da far west»?
«Sì. C’è una legittimazione indiretta da parte della politica, un costante “noi” contro “loro”. Se rappresentanti delle istituzioni parlano dei migranti sempre e solo in termini negativi e alimentano la paura dicendo che sono tutti delinquenti, si crea uno spazio in cui le persone sono legittimate a sfogare i loro peggiori istinti. Diventa un via libera di fatto alle pulsioni razziste».