Corriere della Sera

Il marocchino morto per sfuggire agli inseguitor­i Uno aveva la pistola

- DAL NOSTRO INVIATO

APRILIA Aveva anche una pistola con sé la guardia giurata che ha partecipat­o all’inseguimen­to nel quale un marocchino di 43 anni, ritenuto un potenziale ladro, ha perso la vita nella notte tra sabato e domenica ad Aprilia. Giovanni Trupo, 43 anni, una moglie e un figlio piccolo, è indagato per omicidio preterinte­nzionale assieme al vicino di casa Massimo Ricci (46 anni, autotraspo­rtatore, sposato). Non coinvolta la terza persona che era con loro. Sempre Trupo è quello che ha colpito il fuggitivo prima che questi morisse. «Nessun pestaggio, non volevo fargli del male — si è difeso in lacrime, assistito dall’avvocato Cleide Baldascini dello studio Siviero —. È sceso dall’auto con le mani su un borsello e temevo avesse un’arma. L’ho allontanat­o con un calcio, poi si è accasciato. Sono rovinato». Secondo i primi risultati dell’autopsia effettuata ieri dal medico legale Maria Cristina Setacci, il decesso di Hady Zaitouni sarebbe dovuto a un forte colpo alla testa quando la Renault Mégane è andata a sbattere nei pressi del bar Tomei, di fronte alla stazione di Campo di Carne, ma non è esclusa una concausa con i colpi (forse anche un pugno) ricevuti poi. Le telecamere di sicurezza mostrano la Megane che arriva contromano dalla stretta via della Rimembranz­a, svolta sulla trafficata (per il rientro dal mare) via Nettunense, dove sfiora una vettura e termina la sua corsa con un brusco arresto sul marciapied­e. Da via De Filippo, dove era cominciata la fuga, sono circa 7,5 chilometri, percorsi ad alta velocità a cavallo dell’1.30 di notte.

Se la contestazi­one di omicidio volontario sembra da escludersi, per Trupo potrebbe aggiungers­i quella di aver portato la pistola fuori servizio. Sul punto l’uomo non ha fornito spiegazion­i. Dopo l’urto si è allontanat­o dal posto, a differenza dei due amici rimasti ad attendere i carabinier­i, e si è presentato in ca-

serma il pomeriggio seguente col suo avvocato. Escluso il movente razziale fin da subito e ridimensio­nata l’entità della aggression­e, restano gli interrogat­ivi su cosa abbia spinto tre persone comuni, incensurat­e e senza apparenti legami con ideologie estremiste, a inventarsi giustizier­i per una notte mettendo a rischio la propria e altre vite. Via De Filippo è una strada chiusa fatta di case nuovissime e solo in parte abitate. Una zona isolata, ma dalla quale, oltre a qualche furto di oggetti all’interno delle auto, non sono mai arrivate denunce tali da giustifica­re un allarme sulla delinquenz­a.

I racconti degli indagati e della decina di persone presenti sono al vaglio della Procura di Latina. «Eravamo in strada a chiacchier­are tra vicini ma avevamo gli occhi aperti. Quando è arrivata questa auto sospetta ci siamo avvicinati, ma con una manovra improvvisa si è data alla fuga, rischiando di investire i bambini che giocavano. Volevamo solo prendere il numero di targa», ha dichiarato Ricci, assistito dall’avvocato Andrea Indovino. Mentre parte l’inseguimen­to sulla sua Opel Astra, un quarto condomino avverte il 112. I carabinier­i ricevono poi un’altra chiamata dal passeggero non indagato, che segnala la fuga verso via Nettunense.

Le immagini non mostrano cosa accade dopo lo schianto, Si vedono solo due inseguitor­i in strada mentre il terzo parcheggia. Pochi attimi dopo ritornano alla vettura con calma apparente, quando Zaitouni era già morto. Trupo ha la pistola infilata di lato nei pantaloni, ben in vista. Nessuna traccia dell’altro uomo che era sulla Megane: fuggito a piedi è tuttora ricercato. A bordo non è stata rinvenuta refurtiva ma oggetti adatti allo scasso. Zaitouni ha piccoli precedenti per furto. Le sue impronte non sono nel database del Viminale ma questo, nell’esperienza di chi indaga, non implica che fosse sprovvisto di permesso di soggiorno: potrebbe aver fornito identità diverse per nascondere precedenti denunce.

Il sindaco di Aprilia, Antonio Terra, dice: «Sì, le parole di Salvini possono alimentare un certo clima», ma esclude l’esistenza di ronde. Ipotesi scartata anche dagli inquirenti sul ragionamen­to che, di solito, chi si attrezza per azioni del genere ha tutto l’interesse a farlo sapere per avere visibilità e richiamare l’attenzione. Nessuna segnalazio­ne risulta in tal senso. «Col buio era anche difficile vedere in faccia chi era in quell’auto — dice il colonnello Gabriele Vitagliano —. L’inseguimen­to è stata un’iniziativa avventata».

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Il frame Il video delle telecamere di sorveglian­za di un bar mostra l’inseguimen­to, lo schianto, e l’aggression­e all’immigrato

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