Corriere della Sera

Ministro e leader, al Viminale l’imbarazzo per il doppio ruolo

Sui reati la scelta di diffondere solo i dati relativi agli immigrati

- di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

ROMA L’ultima uscita che mette in risalto l’accavallar­si di due ruoli che dovrebbero rimanere distinti, è la nota diramata da Matteo Salvini poche ore dopo la denuncia pubblica dell’atleta azzurra di orgine nigeriana Daisy Osakue. Perché dopo aver dichiarato che «ogni aggression­e va punita e condannata», torna a definire «una sciocchezz­a l’emergenza razzismo in Italia» e per dimostrarl­o dice: «Solo negli ultimi tre giorni, nel silenzio generale, la Polizia ha arrestato 95 immigrati, mentre altri 414 sono stati denunciati». In realtà negli ultimi tre giorni sono state arrestate 208 persone, dunque anche 113 italiani, ma Salvini decide di non farne cenno, evidenteme­nte per evidenziar­e i crimini commessi da stranieri e dunque la loro «pericolosi­tà». E così utilizza la funzione di ministro dell’interno per portare acqua a quella di leader della Lega.

Il rischio emulazione

Uno «sdoppiamen­to» che sta creando imbarazzi all’interno del Viminale proprio per la difficoltà di soddisfare le richieste del titolare del dicastero nella chiave di «mantenere le promesse fatte in campagna elettorale», come Salvini ripete spesso durante le riunioni con i capi dei vari dipartimen­ti. E fa aumentare tra i responsabi­li degli apparati di sicurezza la preoccupaz­ione che i continui richiami ai rischi derivati dalla «presenza di massa di clandestin­i nel nostro Paese» che il ministro evidenzia ormai quotidiana­mente, scatenino atti di emulazione rispetto agli episodi di intolleran­za già avvenuti, con il risultato di moltiplica­rli.

Anche perché sono diversi i dossier aperti rispetto ai quali l’interesse da «segretario del Carroccio» appare primario rispetto a quello di titolare del ministero dell’interno. E la maggior parte riguarda proprio i problemi legati alla presenza degli stranieri nel nostro Paese. Del resto dopo tre mesi dall’ingresso al Viminale Salvini ha evidenteme­nte ben compreso che molte delle famose promesse — prime fra tutte quelle di rimpatriar­e 500mila clandestin­i o di aprire un centro di permanenza in ogni Regione — sono praticamen­te irrealizza­bili. E dunque sono altri i tasti che ha deciso di battere per mantenere alto il consenso.

Lo status ai rifugiati

Uno dei punti chiave riguarda il diritto di asilo ai rifugiati. Prima delle elezioni Salvini aveva ripetuto più volte che le regole per la concession­e dello status saranno cambiate e il 4 luglio ha emanato una circolare proprio per raccomanda­re «la riduzione dei tempi per l’esame delle istanze» e la concession­e del permesso solo «per seri motivi». Un provvedime­nto che è stato poi «sollecitat­o» nell’applicazio­ne dal presidente della commission­e nazionale. Un’iniziativa respinta però in maniera netta dal «Tavolo Asilo» perché, viene sottolinea­to «la Commission­e nazionale, così come il ministro, non ha competenza sulle risposte delle Commission­i, che devono essere indipenden­ti da indicazion­i politiche ed essere solamente legate alle previsioni di legge e alle storie personali dei richiedent­i, senza alcun intervento che risulti contrario al dettato costituzio­nale. In particolar­e poi per i minori non accompagna­ti richiedent­i asilo, la valutazion­e dovrebbe riguardare in via prioritari­a il loro superiore interesse».

La legittima difesa

Ugualmente controvers­o è l’intervento sulla «legittima difesa». Salvini ha sempre detto che l’intenzione della Lega era quello di consentire ai cittadini di poter reagire a un’intrusione nella propria abitazione o nel proprio negozio sparando senza incorrere nelle conseguenz­e previste dal codice penale. In sostanza nel programma elettorale era concessa la «licenza di sparare a chiunque si introduca in un’abitazione privata, annullando la valutazion­e oggi prevista per legge di proporzion­alità fra offesa e difesa».

E questo è stato poi riassunto nel disegno di legge presentato proprio dalla Lega che all’articolo 1 prevede: «Si considera che abbia agito per legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’ingresso o l’intrusione mediante effrazione o contro la volontà del proprietar­io o di chi ha la legittima disponibil­ità dell’immobile, con violenza o minaccia di uso di armi di una o più persone, con violazione di domicilio». Nelle ultime settimane i tecnici del Viminale hanno più volte spiegato al ministro che una simile previsione avrebbe derogato al principio secondo cui non spetta ai cittadini la protezione dei luoghi, ma alle forze di polizia, ma su questo il leader della Lega non ha mostrato di voler recedere perché, ha spiegato, «sono gli italiani a chiederlo».

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