Tajani stronca il governo: un matrimonio contro natura con il M5S scelte di sinistra
Il filo conduttore è che «il governo sta facendo una politica anti-impresa». Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia e presidente del Parlamento europeo, uomo forte degli azzurri, strizza apertamente l’occhio agli imprenditori veneti da cui è divampato l’incendio nazionale contro il decreto Dignità. E non è un caso che, subito dopo l’incontro con la stampa di ieri a Mestre, lo stato maggiore di FI (oltre a Tajani c’erano anche Renato Brunetta, Elisabetta Gardini, Niccolò Ghedini, fra gli altri) abbiano incontrato Confindustria Veneto, dal presidente Matteo Zoppas alle territoriali che avevano sparato contro una Lega silenziosa e quindi «complice» in materia di politiche del lavoro vissute come pastoie alla macchina economica in ripresa a Nordest.
Opposizione dura e pura. Fatta salva una caparbia «fedeltà all’alleato di centrodestra, cioè la Lega». In una Forza Italia ammaccata dal recente risultato elettorale, gli elementi da tenere in equilibrio sono molti: l’appoggio alle categorie economiche ma anche la porta da lasciare aperta alla Lega. «Questi — ha detto Tajani riferendosi al governo Lega-m5s — mangeranno un panettone un po’ stantio e un uovo di Pasqua non troppo fresco. I voti in Parlamento per un governo di centrodestra ci sarebbero e, in ogni caso, confermiamo che non c’è nessun passo indietro sulle alleanze Fi-lega a livello territoriale». Ieri, però, si è alzato il sipario sull’abbraccio ideale agli imprenditori, orfani di rappresentanza.
«Il malcontento che c’è nel Veneto è solo la punta dell’iceberg — ha scandito Tajani che ha ribadito il voto contrario di FI sul dl Dignità se non verranno accolti una serie di emendamenti —. Gli industriali veneti hanno lanciato un grido di dolore, ma hanno parlato a nome di tutte le imprese italiane perché il decreto di Di Maio rischia di assestare un colpo letale a tutto il sistema imprenditoriale».
La demolizione del governo legastellato da parte del presidente del Parlamento Ue procede con metodo: «Manca una politica industriale, manca una politica delle infrastrutture. È scellerata l’idea di non continuare i lavori della Tav, e l’ambiente non c’entra nulla. Si tratta soltanto di accontentare un po’ di estremisti». Anzi, a questo proposito, Tajani chiama in campo Matteo Salvini che, come titolare degli Interni, dovrebbe «far arrestare i delinquenti No Tav dei centri sociali piemontesi».
L’agone economico tiene banco: «Col decreto di Di Maio — ipotizza Tajani — sono più di 80 mila i posti di lavori che si perderanno, si può arrivare a 120-130 mila secondo le proiezioni fatte». E, per altro, non mancano pesanti dubbi sulla gestione del pasticciaccio Ilva, per non parlare delle nomine Rai. L’ex ministro Renato Brunetta (mattatore, mentre Niccolò Ghedini si tiene in disparte in fondo alla sala) si lascia scappare un: «Salvini voleva portarci dal notaio per un accordo anti-inciucio, col senno di poi avremmo dovuto andarci». Tajani, invece, non attacca frontalmente il Carroccio — «auspico che la Lega torni a far parte del centrodestra» — ma i provvedimenti di «questo governo contro natura» dove «la parte di centrodestra non si vede. Anzi, nei contenuti economici — conclude — vedo un’egemonia grillina che è una riproposizione della sinistra italiana».