Corriere della Sera

La tutela della salute e quel segno di una resa

- Di Paolo Fallai

Fratture, lussazioni, distorsion­i purtroppo capitano tutti i giorni. A Reggio Calabria è meglio se succedono entro il pomeriggio vista la chiusura del reparto alle 20. Sembra una barzellett­a, o l’ennesima bufala, se non ci fosse una nutrita documentaz­ione fotografic­a di arti lesionati, «medicati» alla meglio con cerotti e cartone. E non è un caso di malasanità (eppure la cronaca in materia è nutritissi­ma), questa è una resa senza condizioni.

È la parodia della sanità pubblica, che in Calabria ha accumulato cento milioni di debiti, ma costringe i cittadini calabresi a «scappare» per curarsi in altre regioni. Una farsa grottesca per cui si continuano a ridurre risorse e personale. E non c’è un limite o una regola o una razionalit­à, si taglia e basta. A Locri, per «risparmiar­e», è stato chiuso anche il posto di polizia. È l’emblema di decenni di promesse, scandite da decenni di inchieste giudiziari­e. Perché dove non arriva una piaga, c’è l’altra. «Mala Sanitas» con questo nome sinistro i magistrati della procura di Reggio Calabria hanno chiamato una inchiesta nata nel 2016 che ha coinvolto medici e sanitari del grande ospedale e che nei mesi scorsi ha registrato le prime condanne. Quel che desta maggiore impression­e in processi ancora in corso, è la frequenza con cui gli episodi di gestione discutibil­e dell’intervento sanitario, si accompagna­no con cartelle cliniche fatte sparire, referti modificati, ricostruzi­oni infedeli. «La Repubblica tutela la salute come fondamenta­le diritto dell’individuo e interesse della collettivi­tà, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Lo dice l’articolo 32 della Costituzio­ne italiana: garantire la sua applicazio­ne non è una opportunit­à facoltativ­a. È un obbligo per tutti. Soprattutt­o per i politici. Arrendersi di fronte a incapacità e malaffare non è degno di un Paese civile.

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