La tutela della salute e quel segno di una resa
Fratture, lussazioni, distorsioni purtroppo capitano tutti i giorni. A Reggio Calabria è meglio se succedono entro il pomeriggio vista la chiusura del reparto alle 20. Sembra una barzelletta, o l’ennesima bufala, se non ci fosse una nutrita documentazione fotografica di arti lesionati, «medicati» alla meglio con cerotti e cartone. E non è un caso di malasanità (eppure la cronaca in materia è nutritissima), questa è una resa senza condizioni.
È la parodia della sanità pubblica, che in Calabria ha accumulato cento milioni di debiti, ma costringe i cittadini calabresi a «scappare» per curarsi in altre regioni. Una farsa grottesca per cui si continuano a ridurre risorse e personale. E non c’è un limite o una regola o una razionalità, si taglia e basta. A Locri, per «risparmiare», è stato chiuso anche il posto di polizia. È l’emblema di decenni di promesse, scandite da decenni di inchieste giudiziarie. Perché dove non arriva una piaga, c’è l’altra. «Mala Sanitas» con questo nome sinistro i magistrati della procura di Reggio Calabria hanno chiamato una inchiesta nata nel 2016 che ha coinvolto medici e sanitari del grande ospedale e che nei mesi scorsi ha registrato le prime condanne. Quel che desta maggiore impressione in processi ancora in corso, è la frequenza con cui gli episodi di gestione discutibile dell’intervento sanitario, si accompagnano con cartelle cliniche fatte sparire, referti modificati, ricostruzioni infedeli. «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Lo dice l’articolo 32 della Costituzione italiana: garantire la sua applicazione non è una opportunità facoltativa. È un obbligo per tutti. Soprattutto per i politici. Arrendersi di fronte a incapacità e malaffare non è degno di un Paese civile.