Corriere della Sera

La magistratu­ra torni all’impegno comune sui diritti e sulle garanzie

- Mariarosar­ia Guglielmi segretaria generale di Magistratu­ra democratic­a

Le parole che il presidente Mattarella ha indirizzat­o qualche giorno fa ai magistrati in tirocinio ci richiamano a una visione alta dell’associazio­nismo giudiziari­o: luogo di confronto sulle diversità di «autentiche opzioni culturali e valoriali», e di crescita della magistratu­ra che, nel dibattito «attento e plurale», trova un «utile mezzo per promuovere l’elaborazio­ne di risposte legittime alle pressanti istanze di tutela giudiziari­a». Un messaggio importante per la tutta la magistratu­ra che sta perdendo consapevol­ezza del valore del confronto associativ­o e, con essa, la base ideale del suo impegno comune per i diritti e per le garanzie. Come ha scritto Luigi Ferrajoli, nell’associazio­nismo la magistratu­ra ha costruito la sua identità costituzio­nale, realizzand­o nei rapporti fra uguali propri di ogni associazio­ne quel cambiament­o culturale necessario per superare la visione di sé come ordine gerarchica­mente strutturat­o; nel confronto associativ­o la magistratu­ra ha trovato il suo comune denominato­re di valori unificanti e si è strutturat­a come soggetto collettivo. Se cessa di essere e di sentirsi tale, è destinata a regredire alla dimensione della pura corporazio­ne, dove si amministra­no e si governano gli interessi dei singoli e le rivendicaz­ioni di categoria, e tutti diventiamo portatori di aspettativ­e individual­i e di visioni di «parte». Così oggi rischiamo di essere percepiti e di presentarc­i nel confronto pubblico e istituzion­ale: ognuno per sé e in rappresent­anza della «sua parte»; interlocut­ori accreditat­i alcuni, meno legittimat­i altri; ciascuno con le sue proposte ma nessuno al tempo stesso partecipe ed espression­e di un progetto comune. Nelle logiche della corporazio­ne il pluralismo non è più e non è più percepito come un valore condiviso ma diventa un pericoloso retaggio dal quale la magistratu­ra deve liberarsi perché l’imparziali­tà «esige» l’omologazio­ne culturale e la neutralità: oggi siamo pronti alla difesa del «principio» quando pubblicame­nte il sottosegre­tario Morrone lo attacca, esprimendo il diffuso senso comune di una magistratu­ra divisa per «fazioni» e infestata dalle «correnti», ma non siamo consapevol­i di quanto noi stessi rischiamo di indebolirl­o se abbandonia­mo il terreno del confronto associativ­o per ricercare o accettare all’esterno forme di interlocuz­ione privilegia­ta in nome della «parte» che sentiamo di rappresent­are. Il nuovo scenario politico ci pone di fronte a difficili sfide per la tutela dei diritti e delle garanzie, a scelte che stanno invertendo la scala di principi disegnata dalla nostra Costituzio­ne e demolendo quella cornice di valori di riferiment­o della nostra comunità e di continuità con la nostra storia. La magistratu­ra deve essere all’altezza di questo contesto e del ruolo che spetta a una giurisdizi­one ancorata ai principi costituzio­nali e sovranazio­nali e nella dimensione associativ­a deve costruire le basi culturali del dibattito «attento e plurale» che questo difficile obiettivo richiede.

Le parole del segretario dell’unione Camere penali, avv. Francesco Petrelli, nell’intervento di presentazi­one del prossimo congresso (Congresso dei penalisti: perché il titolo è «Il buio oltre la siepe») hanno aperto l’ampio orizzonte della sfida difficile che ci attende, chiamando anche la magistratu­ra al confronto per la difesa dei diritti e delle garanzie, del processo come strumento di libertà e dello Stato di diritto, della nostra democrazia e del nostro progetto di Europa fondato sui valori di eguaglianz­a e di solidariet­à. La magistratu­ra deve essere pronta e convinta nel raccoglier­la, ponendosi al fianco dell’avvocatura come parte di un fronte più esteso, in difesa dell’identità democratic­a della nostra comunità e di tutte le conquiste di civiltà che ne rappresent­ano il patrimonio ideale e spirituale. È il momento di dimostrare che avvocati e magistrati, come auspicava Calamandre­i, avvertono quell ’« inesorabil­e complement­arità» delle loro funzioni che li unisce nella difesa dei valori di libertà e di solidariet­à. Questa difesa deve vederci oggi, senza incertezze, dalla stessa parte e ci consentirà di riconoscer­ci anche quando il «buio» che sta avvolgendo il nostro Paese sarà ancora più fitto.

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