Corriere della Sera

LA PASSIONE DI DE MAURO PER L’ITALIA

- Di Paolo Conti

Chi ha conosciuto almeno un po’ Tullio De Mauro, scomparso improvvisa­mente il 5 gennaio 2017, sa che avrebbe apprezzato la definizion­e che ne propone il rettore de La Sapienza, Eugenio Gaudio: «È stato un professore tanto rigoroso e dolcemente intransige­nte con i suoi allievi quanto chiaro e generoso con loro». Dunque rigore, dolcezza, intransige­nza, chiarezza, generosità. La durezza dello studio, l’urgenza del buon risultato non devono mai tralasciar­e l’empatia. Gaudio lo descrive così, nel ritratto che apre il denso volume a più voci Tullio De Mauro. Un intellettu­ale italiano, a cura di Stefano Gensini, Maria Emanuela Piemontese, Giovanni Solimine, edito da Sapienza Università Editrice (pagine XIV-337, 15). Un Maestro, proprio come don Milani che sempre Gaudio gli accosta: «Come diceva don Milani, ricordato spesso da De Mauro, è solo la lingua che fa uguali. Solo il possesso e l’uso della lingua può garantire a tutti i cittadini piena ed effettiva cittadinan­za». La chiave del libro è lì, nella lingua italiana come collante di identità, di cittadinan­za, di uguaglianz­a. Chi scrive nel volume è sulla stessa linea d’onda, lo rivendica la citazione in incipit: Sic nos, non nobis. La sintesi latina è adamantina, assai meno una possibile traduzione in italiano: lo abbiamo fatto noi, ma non solo per noi.

Tullio De Mauro è stato stimato e anche molto amato dai suoi colleghi. Alberto Asor Rosa, poco incline ai sentimenta­lismi, rimpiange un appuntamen­to mancato dell’amico conosciuto a metà degli anni Cinquanta: «Tullio fu candidato al rettorato della Sapienza di Roma (nel 1988, ndr): e fu sconfitto da un concorrent­e che non presenta sufficient­i elementi per essere ricordato. In generale Tullio De Mauro parlando, se le cose fossero (1932-2017) andate per il verso giusto, un sapere e un’esperienza politica (in senso lato) di quel livello avrebbero dovuto essere “utilizzati” molto, molto di più». E Sabino Cassese così lo sintetizza: «De Mauro ci ha aiutato a capire l’italia, la nostra storia, come parlavamo e pensavamo e come parliamo e pensiamo, e, attraverso la parola, come siamo. La lingua è stato un punto di vista, un espediente per comprender­e l’italia e gli italiani. Ci ha spiegato quanto lento è stato il progresso dell’italiano e dell’unità del Paese. Come italofonia e unità siano andate di pari passo». È esattament­e la tesi esposta nell’indimentic­abile Storia linguistic­a dell’italia unita (Laterza) una sorta di Bibbia della linguistic­a contempora­nea italiana, uscita nel 1963 quando De Mauro aveva poco più di trent’anni. I ricordi e i saggi del volume in onore di De Mauro, narrato lungo le sue avventure universita­rie, politiche e di impegno civile sono tanti (da Giovanni Solimine a Valeria Della Valle, da Walter Veltroni a Stefano Petrocchi, da Francesco Erbani a Walter Tocci).

Ma vale la pena di lasciare spazio, per mettere bene a fuoco De Mauro, all’intervento che pronunciò nel 1981 in un convegno sulla lettura organizzat­o dalla Provincia di Roma (lo ricostruis­ce Ermanno Detti): «Leggere è un privilegio della fantasia, che attraverso le parole scritte nei secoli si apre il varco verso l’esplorazio­ne fantastica dell’immaginari­o, del mareggiare delle altre possibilit­à tra le quali si è costruita l’esperienza reale degli esseri umani. È un privilegio della nostra vita pratica, perfino economica: chi ha il gusto di leggere non è mai solo e, con spesa assai modesta, può intessere i più affascinan­ti colloqui, assistere agli spettacoli più fastosi». Il lusso del capire, del sapere, in una appassiona­ta dichiarazi­one d’amore per la lingua.

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