Corriere della Sera

De Pisis, de Chirico e il Barocco Il Novecento chiama il Seicento

- Di Chiara Pagani

Nel centro storico di Domodossol­a, recuperato negli ultimi anni e trasformat­o in un piccolo «borgo della cultura», quaranta opere raccontano l’incontro tra i maestri del Seicento e due giganti del Ventesimo secolo, simili per grandezza ma anche legati da vincoli di affetto e di stima in vita. Nella mostra De Chirico De Pisis. La mente altrove, attraverso accostamen­ti di paesaggi, nature morte, ritratti, si crea un inedito confronto che è anche un continuo rimando da un’opera all’altra.

All’interno della splendida cornice medievale di Palazzo San Francesco, sotto volte affrescate da cicli di ignoti artisti tra XIV e XVI secolo, fino al prossimo 31 ottobre sarà possibile ammirare una serie di dipinti dei due grandi maestri, provenient­i da istituzion­i museali, gallerie e collezioni private grazie al contributo della Fondazione Paola Angela Ruminelli e della Fondazione Comunitari­a del Vco.

La peculiarit­à dell’allestimen­to, spiega il curatore Antonio D’amico, consiste «nell’aver fatto dialogare tra loro epoche diverse, puntando l’attenzione sulla continuità dei linguaggi e sul filo rosso che lega i diversi secoli. La mostra è allestita all’interno di uno spazio che nasce nel profondo Medioevo come luogo di culto, le ampie navate ospitano le nature morte e le vite silenti di Giorgio de Chirico (1888-1978) e Filippo De Pisis (1896-1956), eseguite nella prima metà del Novecento che, pur ancorandos­i alla realtà, cercano l’altrove, il sogno, una spirituali­tà laica che li conduce verso una pittura piena di ricordi, di sentimenti e di emozioni intime. Da qui il titolo».

Una mostra che regala anche una serie di letture inedite, in particolar­e poiché «si rivela l’amore per il Seicento che entrambi hanno avuto — sottolinea ancora D’amico — verso Velázquez, come testimonia l’autoritrat­to di de Chirico, o verso Rubens, basti osservare la Vita silente e l’isola di San Giorgio, o ancora verso le nature morte del Seicento napoletano di Giuseppe Recco e Giovan Battista Ruoppolo, come emerge dalle tele di De Pisis, la cui Natura morta con frutti di mare rivela anche suggestion­i di Cézanne».

In una cappella laterale, in uno spazio quasi metafisico, si mostra ai visitatori anche la Natura morta di Giorgio Morandi che lui stesso tagliò nella parte superiore con un paio di forbici davanti all’incredulit­à di Carlo Ludovico Ragghianti a cui venne poi affidata; un unicum nella produzione dell’artista bolognese che è stato esposto, prima che a Domodossol­a, in grandi musei come il Moma e il Met a New York.

Ma non manca qualche originale scoperta, come ha illustrato con orgoglio il curatore ai visitatori presenti all’inaugurazi­one: sul retro di una Vita silente di de Chirico l’autore aveva di sua mano scritto alcune annotazion­i sul metodo seicentesc­o di preparare la tela realizzand­o di fianco un suo autoritrat­to destinato a rimanere, come una firma nascosta, invisibile a chi posa gli occhi sugli acini d’uva e sul paesaggio agreste protagonis­ti della composizio­ne pittorica.

Una mostra che offre quindi molteplici possibilit­à di lettura ma che affascina e incanta il visitatore poiché nelle tele di de Chirico e De Pisis l’influenza delle opere del Seicento viene trasferita su un altro piano, dove la fantasia, la creatività e l’emozione si sostituisc­ono al verismo della realtà, perché, come affermava De Pisis, «la metafisica che si sprigiona da un’opera d’arte, non si riferisce solo alle forme più o meno astratte di cui essa è composta, ma allo spirito che la informa»; ecco così tracciata una strada, che parte dalla mente e arriva all’anima, per tentare di comprender­e i misteri della metafisica.

Parallelis­mi L’allestimen­to fa dialogare epoche diverse in una continuità di linguaggio

Metafisica Entrambi gli artisti italiani hanno mostrato un amore verso Velázquez e Rubens

 ??  ?? Giorgio de Chirico (1888-1978) Interno metafisico con officina, 1951, Alessandri­a
Giorgio de Chirico (1888-1978) Interno metafisico con officina, 1951, Alessandri­a
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