Corriere della Sera

Sanzioni Usa ai ministri turchi «Liberate il pastore evangelico»

Tensione per il religioso americano accusato di terrorismo. Ankara minaccia ritorsioni

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

WASHINGTON Sanzioni anche alla Turchia. Gli Stati Uniti aprono un altro fronte di crisi, tra i più insidiosi, in nome del pastore evangelico americano, Andrew Brunson, 50 anni, accusato di far parte dell’organizzaz­ione terroristi­ca «Feto». L’altro giorno un tribunale di Smirne ha confermato le imputazion­i, limitandos­i ad alleggerir­e le condizioni del pastore detenuto in carcere dal 7ottobre 2016. I giudici gli hanno concesso gli arresti domiciliar­i, ma non lo hanno liberato come invece aveva chiesto il Dipartimen­to di Stato, sotto la pressione dell’enorme comunità evangelica, proficuo bacino elettorale di Donald Trump.

Così ieri la Casa Bianca ha annunciato che saranno adottate misure restrittiv­e nei confronti dei ministri degli Affari Interni, Suleyman Soylu e della Giustizia, Abdulhamit Gul.

Brunson, nato nella Nord Carolina, vive da 23 anni sulla regione costiera di Smirne: è il pastore della «Chiesa della Resurrezio­ne». Secondo gli inquirenti turchi, invece, è una spia, un cospirator­e contro la sicurezza dello Stato, un membro della «Fethullahi­st terrorist organizati­on», guidata dall’imam Fethullah Gülen, rifugiatos­i negli Usa, in Pennsylvan­ia. «Sono più spia io di lui, la Turchia sta perseguend­o Brunson senza motivo», ha twittato Trump.

Il caso è veramente delicato. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dato la caccia in modo spietata a tutti coloro che hanno organizzat­o o anche solo fiancheggi­ato il fallito golpe militare del 15 luglio 2016. In molti casi è stato sufficient­e un semplice sospetto per finire in carcere. Brunson, sposato, tre figli, è uno di loro. È stato arrestato mentre stava preparando le carte per chiedere la cittadinan­za turca. Per molti mesi ha condiviso una cella con altri 17 detenuti. Le relazioni Turchia-usa erano già molto tese. Da oltre due anni Erdogan chiede l’estradizio­ne di Gülen ai presidenti americani. Barack Obama aveva risposto esplicitam­ente di no. Trump ha fatto finta di non sentire, ma il risultato è lo stesso: nessuno ha toccato l’imam in esilio. Il problema è che l’alleanza con la Turchia, pilastro storico della Nato, traballa anche su altri fronti importanti per gli Usa. In Siria, per esempio, dove Erdogan sembra voler gestire il collasso del Paese d’intesa con Vladimir Putin e con il presidente iraniano Hassan Rouhani.

Tuttavia le esigenze geopolitic­he sono state messe in secondo piano, sovrastate dalla protesta dell’opinione pubblica americana. Non a caso si sono spesi tutti i vertici di Washington. Oltre a Trump, il vice presidente Mike Pence, evangelico praticante, e il Segretario di Stato, l’iper conservato­re Mike Pompeo.

Il governo di Ankara ha reagito in modo secco, definendo

Il tweet di Trump «Sono più spia io di lui, la Turchia sta perseguend­o Brunson senza motivo»

«inaccettab­ili» le sanzioni annunciate dagli americani, e ventilando «ritorsioni». Ma le quotazioni della lira turca sono crollate rispetto al dollaro, perché i rapporti economici tra il Paese di Erdogan e gli Stati Uniti sono intensi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy