Violenza e religione, lo sterminio degli armeni a teatro
La masseria delle allodole è un romanzo del 2004 di Antonia Arslan. Ho un ricordo sfocato di un incontro con l’autrice, nata a Padova da famiglia armena, ma vivido del suo romanzo. Avevo letto con passione I 40 giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel, un romanzo del 1933; l’atroce argomento è lo stesso: il libro della Arslan, che poi ebbe e continua ad avere una notevole fortuna (dalle innumerevoli traduzioni al film dei fratelli Taviani) tratta dello sterminio della minoranza armena ordinato dal governo turco nel 1915. La sua fortuna arriva fino a oggi, alla festa del teatro di San Miniato. Se ne rimane per un poco sorpresi, come mai gli armeni in una manifestazione dedicata a opere impregnate di fede religiosa? Lo si capisce dopo poco, quando appare in scena una grande statua di Cristo, alla quale verranno spezzate le ginocchia: gli armeni sono un popolo di fede cristiana, ai quali dichiarano guerra gli ottomani.
Rispetto al romanzo il copione teatrale opera un processo di condensazione: il testo è di Francesco Asselta e del regista Michele Sinisi. Ci troviamo subito nella masseria, c’è una tavola imbandita, la famiglia degli Arslanian è già lì riunita. Come scrive Sinisi, «per trascorrere gli ultimi interminabili attimi di una vita di piacere, di bellezza e di condivisione, di poesia e di erotismo, di spiritualità e di canto». Il medico Krikor aveva annunciato (nel romanzo) che tutti gli uomini erano convocati in prefettura nel pomeriggio. Ricordando le stragi di vent’anni prima, viene presa la decisione di sottrarsi, anche per festeggiare il primogenito Yerwant, che alla notizia della morte del padre aveva deciso di tornare dall’italia. Il fratello Sampad porta con sé la moglie Shushanig e tutta la famiglia. Ma presto irrompe un gruppo di militari. È di nuovo la strage. Gli uomini vengono uccisi, anzi torturati, evirati, decapitati; le donne vengono trascinate via, stuprate, seviziate. Su un lato della scena scorre parallelo il dialogo tra un politico e un colonnello amico degli Arslanian. Dice il politico: «Lei ha il dovere di stare da questo lato». Risponde il colonnello: «Ma non è democratico!» Il politico: «Questo non è un tempo democratico». Il colonnello: «Mi sta dicendo che il nostro non è più uno Stato democratico». Il politico: «Non le sto dicendo questo. Le ribadisco che il nostro è un regime democratico». Coinvolgenti e anche divertenti le prime scene, in specie per la bravura delle attrici. Amare, impietose le scene in cui prevale la presenza degli uomini, gli armeni e gli altri. Campeggia il Cristo con le ginocchia spezzate.