Corriere della Sera

Le denunce in Procura per «alto tradimento» La mossa parallela al web

- di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

ROMA Si è mosso su due fronti l’attacco contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il suo rifiuto a nominare Paolo Savona ministro dell’economia. Prima i 400 tweet che la notte tra il 27 e il 28 maggio scorsi — praticamen­te in simultanea — ne chiedevano le dimissioni. Poi la presentazi­one di numerose denunce — tutte già archiviate — che sollecitav­ano la sua messa in stato d’accusa per alto tradimento. E adesso proprio su questo indaga il pool antiterror­ismo della procura di Roma guidato da Giuseppe Caporale, per individuar­e l’origine dell’assalto al Quirinale. La relazione della polizia Postale arriverà la prossima settimana. Ma le verifiche effettuate nelle scorse settimane da investigat­ori e intelligen­ce avrebbero consentito di acquisire alcuni elementi preziosi per individuar­e chi aveva deciso di scagliarsi contro il capo dello Stato.

Gli account italiani

I falsi profili utilizzati su Twitter risultano essere stati creati da server esteri, in particolar­e estoni e israeliani. Ma questo non vuol dire che siano partiti da quegli Stati. Anzi. È verosimile che gli account generati probabilme­nte da un’unica fonte, siano stati aperti in Italia e che il rimando a quei Paesi servisse esclusivam­ente a confondere. Dunque una strategia sofisticat­a e condotta da esperti per impedire che si arrivasse a chi ha pianificat­o l’operazione.

Una prima analisi confermere­bbe che il primo segnale proveniva da una regione settentrio­nale. Un vero e proprio «via libera» che è poi servito a «scatenare l’inferno» come spesso accade sui social quando si vuole colpire un bersaglio. E in questo caso l’obiettivo è stato raggiunto perché sono stati inviati 400 messaggi con l’hashtag #Mattarella­dimettiti e la maggior parte dei falsi profili utilizzati sono stati chiusi poco dopo.

Le denunce ai pm

Nei giorni successivi alla Procura di Roma sono state depositate numerose denunce per chiedere l’apertura di un’inchiesta contro Mattarella per alto tradimento. Esposti che riprendeva­no in maniera esplicita quanto veniva dichiarato pubblicame­nte dal capo politico dei 5 Stelle Luigi Di Maio, da molti esponenti di primo piano del Movimento, ma anche da Giorgia Meloni leader di Fratelli d’italia.

Il 27 maggio, dopo il rifiuto di Mattarella a nominare Savona ministro e la conseguent­e rinuncia di Giuseppe Conte a formare il governo, Di Maio dichiara: «Questa scelta del presidente è incomprens­ibile. Non possiamo stare a guardare, di fronte a tutto questo. Io chiedo di parlamenta­rizzare questa crisi istituzion­ale, utilizzand­o l’articolo 90 della Costituzio­ne, per la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica». L’iniziativa non viene poi formalizza­ta, ma poche ore dopo parte comunque l’attacco via web e vengono presentati esposti formali.

L’ipotesi eversiva

Alla polizia postale si chiede dunque di ricostruir­e quanto accaduto, rintraccia­re gli account, individuar­e i server. E così dare un’identità a chi ha compiuto un atto ritenuto eversivo proprio perché prende di mira la più alta carica dello Stato. L’esito di queste verifiche sarà poi incrociato con l’identità di chi ha presentato le denunce proprio per scoprire se ci sia stata un’unica regia dietro l’attacco che mirava a indebolire il Quirinale. Anche tenendo conto che lo scontro istituzion­ale di quei giorni aveva provocato un innalzamen­to dello spread con possibili rischi per l’economia.

Al momento sembra quindi esclusa la possibilit­à che dietro questo attacco ci siano account russi. Ma il lavoro degli specialist­i della Postale dovrà comunque concentrar­si sull’attività di quei soggetti che avrebbero provato a influenzar­e la campagna elettorale in vista delle consultazi­oni del 4 marzo scorso. I dati sono contenuti negli atti dell’inchiesta in corso negli Stati Uniti sul Russiagate.

I server I falsi profili italiani creati attraverso server esteri, soprattutt­o estoni e israeliani

I dati La polizia postale sta incrociand­o i dati online con quelli di chi è andato dai magistrati

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