Il petroliere vietnamita rapito dalle spie a Berlino «Aiutate dagli slovacchi»
Coinvolto il ministro che si dimise per il reporter ucciso
C’entrasse anche un complotto per dominare il mondo sarebbe una buona base per le scene iniziali del prossimo film su 007: denaro, azione e spettacolari set internazionali. Peccato che, al momento, non ci sia ancora lieto fine.
Dunque, è il maggio del 2017 e un oligarca vietnamita è in fuga da Hanoi. Post comunista, ex burattinaio della Petrovietnam, era potente e ricchissimo sino a quando ha fatto il salto in politica ed è caduto in disgrazia. «Epurato» sosteneva lui. I suoi ex sodali del regime comunista viet gli davano banalmente del corrotto. In ogni caso il milionario asiatico dai modi raffinati si rifugia in Germania e chiede asilo politico. I servizi segreti vietnamiti non ci stanno e con un van a noleggio lo rapiscono in pieno giorno da un parco del centro di Berlino. Non un giardinetto qualsiasi, ma il Tiergarten, la quintessenza delle ombre, dove per decenni le spie della Guerra Fredda si scambiavano microfilm con i doppiogiochisti.
Il furgone arriva indisturbato nella capitale della Slovacchia proprio davanti all’albergo di Stato dove alloggia una rappresentanza governativa di Hanoi. Il van è lì parcheggiato (lo dice il tracciato del Gps) e dentro, presumibilmente, c’è l’ex tycoon legato, picchiato e narcotizzato.
I vietnamiti incontrano i rappresentanti slovacchi. Molti erano colleghi anche nell’ex blocco comunista. Firme, strette di mano, ne nascono contratti per le aziende di Bratislava. Gli uomini incravattati vengono scortati con frastuono di sirene e motociclisti all’aeroporto dove li aspetta l’omaggio di un volo di Stato (slovacco) per portarli a Mosca. Il furgone si aggiunge alla carovana ufficiale senza che nessuno abbia da obbiettare e quando alla scaletta dell’aereo (slovacco) si presenta uno sconosciuto sorretto da uomini con occhiali scuri e auricolare all’orecchio, uno che cammina a fatica, ha gli occhi tumefatti e il volto ferito, nessuno pensa di dover chiedere qualcosa. La spiegazione ufficiosa è «sarà ubriaco».
«Fantascienza» si difende l’ex ministro slovacco che aveva offerto l’aereo e garantito il trattamento di rispetto. «Intrigo internazionale» strillano i giornali di Bratislava e Berlino che hanno continuato l’indagine sullo strano rapimento. Il fatto duro e crudo è che Trinh Xuan Thanh, il magnate del petrolio rapito, ad un anno dalla sua scomparsa da Berlino è già stato condannato ad Hanoi: ha compiuto 52 anni in carcere e rischia di restarci per il resto della vita. Le «vibranti proteste» di Berlino non hanno scalfito il silenzio del Vietnam.
Il mese scorso un tribunale tedesco ha condannato a tre anni il basista della spie di Hanoi reo confesso. Ora l’inchiesta del giornale slovacco Dennik N e della Frankfurter Allgemeine Zeitung rischia di travolgere l’intero governo slovacco. Il ministro sospettato di aver facilitato il «trasferimento» del rapito è Robert Kalinák, già dimessosi per lo scandalo dell’omicidio del giornalista Ján Kuciak e della fidanzata in febbraio. Il reporter indagava sui legami tra il governo e la mafia, ma il ministro lo attaccava in pubblico senza rispetto neppure per le forme. Dopo imponenti proteste, Kalinák ha sì lasciato la poltrona, ma il suo partito, erede dei comunisti dell’era sovietica, è rimasto in maggioranza. Il nuovo premier slovacco ha inviato a Berlino l’attuale ministro dell’interno e il capo della polizia per collaborare con le indagini, ma la coalizione con i post comunisti traballa. Chissà che un chiavistello girato in Asia non ne apra uno in Europa.
Facilitatori
Bratislava offrì un volo di Stato per Mosca alla delegazione che rapì Xuan Thanh