Troppo traffico nei canali E i limiti di velocità sono violati
Sono 60 mila le imbarcazioni autorizzate. Zaia: «Patente per tutti» «La trappola di navigare non pensando ai pericoli» G
D ue pescatori in pensione travolti da un barchino che sfreccia nel buio della laguna con quattro giovani a bordo; un altro che si rovescia nelle acque torbide di Giare di Mira, qualche chilometro più a Sud. Tre morti e otto feriti in 24 ore. E sarà anche una casualità la doppia tragedia in così breve tempo, ma viene da chiedersi se qualcosa non stia cambiando fra i canali di Venezia, dove si immaginano onde leggere e imbarcazioni piccole, cioè un ambiente dove la morte per incidente nautico sembra molto lontana.
Le statistiche, in effetti, propendono per la rarità: otto decessi in vent’anni, l’ultimo datato 2013, quando un turista tedesco rimase vittima dello scontro fra una gondola e un vaporetto sul Canal Grande. I feriti sono però centinaia, quasi tutti provocati da collisioni con motoscafi di piccole dimensioni. Impatti fra barche ma anche con bricole, ponti, fondamenta. «I problemi sono soprattutto due: velocità e traffico che negli ultimi anni è molto aumentato», spiega Alberto Pietrocola, capo della direzione marittima della Capitaneria di porto di Venezia, alla quale fa capo una fetta della Laguna fra cui il luogo dell’incidente di venerdì scorso. I numeri sono presto detti: nel bacino navigano fra le 60 e le 70 mila imbarcazioni registrate, in sensibile aumento rispetto a 10 anni fa.
«I limiti di velocità naturalmente ci sono ma non vengono rispettati, soprattutto nelle aree lontane dal centro storico. Ora c’è anche il barcavelox in dotazione alle forze dell’ordine ma si tratta di un dispositivo mobile. Forse si potrebbe pensare a uno strumento fisso. Quanto al traffico del centro, Canal Grande su tutti, la riduzione è difficile. Ci sono diversi interessi in gioco, tanti alberghi, tanti ristoranti e tutto passa via acqua», aggiunge Pietrocola. «Gli interessi sono quelli di una città che ha visto aumentare in modo importante il flusso turistico — precisa Marco Agostini, comandante della polizia locale —. E questo significa più trasporti per far circolare merci e persone». È stato calcolato che sotto il Ponte degli Scalzi, uno dei quattro che attraversano il Canal Grande, passano circa 300 mezzi all’ora. Vaporetti, taxi, barchini, mototopi. Venezia un po’ come Bangkok. «Ma al di là del traffico ci vorrebbe più cultura nautica e meno motori potenti in mano a ragazzi che corrono come pazzi. Basta pensare che con un 40 cavalli, per il quale non serve la patente, si può arrivare a 60 I soccorsi
I vigili del fuoco intervenuti subito sul luogo dello scontro in Laguna. I due pescatori sul barchino sono morti. Il primo, trasportato in idroambulanza, è deceduto in ospedale. Il corpo del secondo è stato individuato dai sommozzatori due ore dopo chilometri orari, velocità elevatissima in acqua soprattutto se si considera che non esistono freni. C’è un problema di educazione: io introdurrei nelle scuole veneziane l’educazione nautica come materia».
Per la verità la norma sulla patente obbligatoria per tutti doveva essere introdotta in luglio. «Già, ma è slittata di sei mesi». Un numero chiuso agli ingressi di barche in Laguna? «Non sono molte le barche da diporto che entrano da fuori. Si potrebbe piuttosto pensare a limitazioni per i non residenti che hanno la barca ormeggiata».
Il governatore del Veneto, Luca Zaia, amante del mare e patentato non residente, certe misure non le capisce proprio. «Il problema c’è e va risolto ma non in questo modo. La navigazione ha il suo linguaggio che dev’essere conosciuto da chi ha una barca, senza esclusioni, e dunque io penso che la patente debba essere sempre obbligatoria. Quando l’ho fatta io, 12 miglia vela e motore, ho studiato più che per quella dell’automobile. Occorrono poi regole diverse, una maggiore severità e controlli più ampi e stringenti. Ah, preciso che io non ho la barca». Dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, «il pensiero commosso nella speranza che quanto accaduto non abbia più a ripetersi». Vittime di incidenti in Laguna dal 1998. I feriti sono centinaia: la causa quasi sempre i barchini mila
Le imbarcazioni registrate a Venezia. Sul Canal Grande si contano circa 300 passaggi all’ora li occhi del sociologo e la passione civile del politico innamorato di Venezia. Gianfranco Bettin parla di «giorno nero per la Laguna».
Eccezione o regola?
«La grande trappola della Laguna è che spesso non la si considera pericolosa. Non è il mare aperto, è silenziosa, è tranquilla, pochi i controlli. E, però, qualcosa sta cambiando».
Cosa?
«Ricorda una foto aerea che ha fatto il giro del web pochi giorni fa? Lungo il canale che collega l’aeroporto Marco Polo al centro storico c’era una quantità
Chi è Gianfranco Bettin, 63 anni, è sociologo e politico
di mezzi mai vista, come la tangenziale di Mestre. Servono più occhi elettronici. Il controllo genera autocontrollo».
Inesperienza o velocità?
«Spesso velocità che viola due capisaldi: l’equilibrio della Laguna minacciato dal moto ondoso e la sicurezza».
Cosa la colpisce degli incidenti di ieri?
«Sono emblematici. Quello costato la vita a Renzo e Natalino, poi, è paradigmatico. Due amici, due veneziani del sestiere di Castello, il più popolare, il più autentico, si godono una immobile notte d’agosto a pescare, in silenzio, immersi nell’oscurità confortante della Laguna. Pensano al pesce che useranno per la grigliata con le famiglie l’indomani. Cosa c’è di più veneziano? Una frazione di secondo e un barchino li spazza via. È tragicamente simbolico: il modo più anti veneziano di vivere la Laguna, veloci, distrugge il modo più veneziano di viverla».