La lunga crisi dell’edilizia: scomparse 120 mila aziende E ora rischiano anche i big
Domani la nomina del commissario di Condotte. Il caso Astaldi
C’è un settore in cui la ripresina non è mai arrivata. Sono le costruzioni, che hanno superato l’infausto traguardo del decimo anno di crisi. Seicentomila i posti persi, 120 mila le aziende sparite dai radar. La novità è che ora la crisi morde anche i grandi.
Il caso sotto i riflettori è quello di Condotte, terzo gruppo del settore in Italia, che ha chiesto l’amministrazione straordinaria ai sensi della legge Marzano. Domani la nomina del commissario. «Finalmente», dice il sindacato che teme per i 3.000 posti di lavoro del gruppo. «Al commissario chiederemo di fare chiarezza rispetto all’andamento dei conti. E la garanzia del pagamento degli stipendi», dice Stefano Macale, segretario della Filca Cisl.
Resta il fatto che le nostre grandi imprese delle costruzioni sono tali solo viste dall’italia. Le prime tre società europee (Vinci–francia, Acsspagna e Bouygues-francia) fatturano rispettivamente 40,2, 34,9 e 32,9 miliardi di euro. La nostra maggiore società, Salini Impregilo, «solo» 6 miliardi e mezzo. La seconda per grandezza (3 miliardi di euro di giro d’affari nel 2017) è Astaldi, ora alle prese con un delicato aumento di capitale da 300 milioni di euro (previsto a settembre, in concomitanza con la presentazione della semestrale).
La scorsa settimana il presidente di Ance, Gabriele Buia, ha incontrato il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. Ovviamente la prima richiesta è stata lo sblocco dei lavori delle grandi infrastrutture. La seconda? «Non andiamo da nessuna parte se non riduciamo la burocrazia — si infervora Buia —. Negli ultimi tre anni gli stanziamenti pubblici in infrastrutture sono aumentati. Ma non si trasformano in cantieri. A oggi abbiamo a disposizione 140 miliardi per i prossimi 15 anni. Ogni miliardo può generare 15 mila addetti. Nel Def per il 2018 è previsto un aumento degli investimenti in opere pubbliche del 2,4%. Il nostro timore è che a settembre questa percentuale sia rivista al ribasso e diventi addirittura negativa a fine anno, come è avvenuto nel 2017».
Il sindacato fa notare che le costruzioni restano un settore ad alta intensità di lavoro. «Anche perché qui la digitalizzazione non ha fatto presa — spiega Macale —. Su un punto siamo d’accordo con il mondo dell’impresa: non vanno bloccate le grandi opere. Poi su altro abbiamo idee diverse. Secondo noi è necessario ridurre gli appalti al massimo ribasso. E serve rigore sui documenti che accertano la regolarità contributiva. Al governo, che pare interessato a mettere mano il codice degli appalti, facciamo notare che il sindacato può dare un contributo importante».
C’è poi il problema dell’invecchiamento del settore. «Il 30% degli addetti dei cantieri oramai ha più di 50 anni — fa il punto Macale —. Con l’ultimo contratto abbiamo creato un fondo che aiuta ad «agganciare» l’ape per andare in pensione prima. Ora il governo sembra intenzionato a cambiare le regole. Il problema è serio è andrebbe affrontato in modo stabile. Anche perché è strettamente collegato all’aumento degli infortuni sul lavoro».