Corriere della Sera

La Lega «riabilita» le Province: ridare il voto ai cittadini

- L. Sal.

Dal sovranismo alla sovranità popolare. La Lega studia il ritorno del voto diretto per le Province, rimaste sospese tra la riforma che le doveva abolire e la bocciatura del referendum del 2016, che ha finito per rimetterle in piedi, anche se zoppicanti. La linea del Carroccio è riassunta in un disegno di legge presentato al Senato, terzo firmatario l’attuale ministro dell’interno Matteo Salvini, in compagnia di un altro ministro, Gian Marco Centinaio, responsabi­le dell’agricoltur­a.

L’obiettivo del provvedime­nto, si legge nella relazione, è «ripristina­re la legalità costituzio­nale attraverso l’elezione diretta a suffragio universale del presidente e dei consiglier­i della Provincia». Tutto come prima, dunque. È vero che il disegno di legge è stato presentato prima della formazione del nuovo governo e che la questione non viene affrontata nel contratto firmato con il Movimento 5 Stelle. Ma è anche vero che il sistema per eleggere i presidenti delle Province è un compromess­o superato dagli eventi, un groviglio con tanti nodi da sciogliere.

La legge oggi in vigore stabilisce che a votare non siano i cittadini ma i sindaci del territorio, che sono anche gli unici a potersi candidare. Un meccanismo di «secondo livello» che nelle intenzioni della riforma voluta nel 2014 dal governo

Elezione

Presidenti e consiglier­i provincial­i sono eletti da sindaci e consiglier­i comunali del territorio

Renzi doveva accompagna­re le Province fino alla scomparsa prevista dalla riforma costituzio­nale. Un sistema temporaneo, che però ha confermato ancora una volta come in Italia nulla sia stabile fuorché il provvisori­o. E che ha richiesto qualche correttivo anche nell’ultimo decreto legge Milleproro­ghe, approvato dal governo Conte e adesso all’esame del Parlamento. Qual è il problema?

Per potersi candidare alla presidenza della Provincia, in base alla legge attuale, i sindaci devono avere almeno 18 mesi di mandato davanti a loro. Una regola che di fatto tagliava fuori un terzo dei sindaci coinvolti nelle elezioni provincial­i in programma nei prossimi mesi. Circa 1.300 su 3.400. Nel Milleproro­ghe la durata residua del mandato necessaria per la candidatur­a è scesa da 18 a 12 mesi, mentre le prossime elezioni provincial­i sono state accorpate fra loro e anticipate al 31 ottobre. Il plotone dei sindaci incandidab­ili è stato ridotto. Ma è solo una toppa. Resta il problema di un sistema elettorale complicato. E anche poco logico, forse proprio perché pensato come temporaneo: il mandato del presidente, per dire, dura quattro anni; quello del consiglio provincial­e, eletto dai consiglier­i comunali, solo due. Una specie di mid term provincial­e di cui potremmo fare a meno. Un intervento serve. Ma come?

Oggi gli incarichi di presidente e consiglier­i provincial­i sono a titolo gratuito. La proposta della Lega affronta anche il capitolo indennità. Lo «stipendio» del presidente non potrebbe superare quello del sindaco del capoluogo di provincia. Mentre i consiglier­i avrebbero un gettone per le sedute di consiglio e commission­i, con un tetto pari a un sesto dello stipendio del presidente. Il ritorno dell’indennità sarebbe giustifica­to dal fatto che le Province, progressiv­amente svuotate di fondi e funzioni, recuperere­bbero una serie di competenze. Resta da vedere cosa ne pensano gli alleati di governo, così sensibili ai costi della politica. Sul tema il Movimento 5 Stelle finora non si è pronunciat­o. Pochi giorni fa Beppe Grillo parlava di «estrazione a sorte dei parlamenta­ri». Le Province non contano quanto la Camera o il Senato. Ma forse, voto popolare oppure no, è arrivato il momento di decidere cosa debbano fare da grandi.

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