Corriere della Sera

Joe, pilota da corsa a 81 anni «Ai box i giovani sorridono ma poi in pista li sorpasso»

Faceva il medico, vive a Tivoli: «La mente batte sempre il corpo»

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Aottantuno anni Joe non ha il piede caldo dei più giovani piloti che in gara pigiano a manetta. Usa il cervello: «Non entro nelle bagarre, aspetto l’occasione del sorpasso. Poi attacco». Joe ridacchia: «Quando mi vedono in pista i ragazzi di venti anni strabuzzan­o gli occhi, come dire: ma che ci fa questo qui? Non dovrebbe starsene sulla panchina di un parco con un bastone in mano?». Joe continua a ridacchiar­e.

Invece al Mugello qualche settimana fa, durante una prova del Campionato Italiano Prototipi, l’ottantunen­ne Joe Castellano ha realizzato in gara il settimo miglior tempo: 1 minuto e 47 secondi. E l’ha fatto all’ultimo giro, dopo una serie di curve centrate a 240 km all’ora, quando le gomme sono consumate e le sollecitaz­ioni al collo sono pazzesche. All’arrivo ai box, i meccanici avevano gli occhi lucidi. «Come faccio? Questione di mente. Batte sempre il corpo».

Due mogli, quattro figli, medico chirurgo plastico, Joe oggi si divide tra Tivoli a Maiorca dove ogni tanto compare la figlia più piccola che ha mandato a studiare a Kyoto. Il tempo trascorso per lui — dice — «è sempre presente». Forse per questo non si vanta di essere il pilota più longevo della storia. Un record.

Era il 1963 quando si laureò in Medicina a Bologna. Nel capoluogo emiliano frequentav­a gli studenti americani perché i bolognesi lo considerav­ano un fascistell­o per via della sua nascita: Asmara, Eritrea, 1937. Furono gli amici yankee che lo invogliaro­no a trasferirs­i in America. In Minnesota Joe sposò una donna islandese ma ci restò poco. «Dissi a mia moglie: qui si gela, adiamocene in Florida». Il clima mite fece bene all’umore della coppia. Ma anche alla carriera di pilota.

Joe aveva iniziato a correre ad Asmara, dove ha capito cos’è la competizio­ne. «A scuola c’era un alunno che aveva voti più alti di me. Camminava scalzo e non mangiava con le forchette. Mi dicevo, com’è possibile? Così ho iniziato a studiare duro».

Essere nato in Eritrea da famiglia italiana fu per Joe una sorta di marchio. «A Bologna, città di sinistra, mi considerav­ano un Balilla, figlio delle colonie fasciste. Ma io ero anarchico. E citavo Churchill: dopo i quaranta se si è intelligen­ti si è di destra. Ma prima, se si ha cuore, si deve per forza essere di sinistra».

In Florida Joe lavorava in un pronto soccorso. Nei fine settimana correva. «Ho iniziato con due meccanici italo-americani che avevano un’officina a Orlando e una vecchia Giulia 1600. Che sballo. Guidavo ai rally e autocross della Scca (Sports Car Club of America) tra Miami e Orlando con un’alfa Gta 2000. Poi il salto a Daytona, una delle gare più importanti degli Usa».

In una fredda ma bella mattina di autunno del 1967 Joe ricevette la lettera dal comando militare americano. «Mi volevano spedire a combattere in Vietnam. Sono andato a Washington dal colonnello A Palm Beach Castellano nei primi anni 70 con gli amici meccanici italiani in Florida, Carlo Briscese e Gianni Mollica. Correva con una Giulia 1600

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 ??  ?? Negli Usa L’esultanza di Joe Castellano dopo aver concluso la 24 ore di Daytona, nel 2009. La gara, in team con altri piloti (Bertuzzi, Pirri, Montanari e Wagner), lo vide al volante di una Ferrari F430: in quella gara prototipi di «resistenza» ottennero il quarantesi­mo posto
Negli Usa L’esultanza di Joe Castellano dopo aver concluso la 24 ore di Daytona, nel 2009. La gara, in team con altri piloti (Bertuzzi, Pirri, Montanari e Wagner), lo vide al volante di una Ferrari F430: in quella gara prototipi di «resistenza» ottennero il quarantesi­mo posto

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