Corriere della Sera

LA SPERANZA UMANISTA NATA NEL 1968

Un saggio di Giovagnoli

- Di Giampiero Rossi

Dal movimento di Berkeley al Maggio francese, dalle lotte degli studenti di Sociologia a Trento alla «battaglia» di Valle Giulia a Roma. Grandi ideali in gioco, grandi questioni in discussion­e, avveniment­i clamorosi. La storia racconta che il Sessantott­o è stato tutto questo. Ma in quest’anno quasi giubilare — a mezzo secolo da quei fatti — affiorano ancora chiavi di lettura inedite. Nel suo libro Sessantott­o. La festa della contestazi­one (San Paolo, pagine 272, 24), Agostino Giovagnoli, docente di Storia contempora­nea all’università Cattolica, sostiene che la contestazi­one fu «una travolgent­e esperienza esistenzia­le» in cui «centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze entrarono in un inedito intreccio di relazioni collettive, senza più confini rigidi tra pubblico e privato, tra personale e politico». Insomma, il Sessantott­o fu «la festa di un incontro intenso e continuato che liberava dalla solitudine e dall’isolamento».

Tutto sommato, secondo Giovagnoli, «non è stata una rivoluzion­e» perché «non ha cercato di sostituire vecchie strutture con nuove strutture». Anzi: «Malgrado la durezza del linguaggio e delle sue azioni, la contestazi­one ha lottato contro l’autoritari­smo ma non ha negato del tutto l’autorità, ha pesantemen­te criticato le istituzion­i, ma non ha escluso la possibilit­à di una loro modificazi­one». Un’eredità di quell’atto di ribellione per questi nostri tempi? «Il tentativo di una reazione umanista all’avvento di un mondo sempre più consumista, tecnologiz­zato, disumanizz­ato», cioè «il sogno di un mondo a misura d’uomo».

Nell’analisi di quei due anni scarsi di sommovimen­ti, Agostino Giovagnoli dedica un capitolo al caso «emblematic­o» della Chiesa cattolica. Fino a quel momento era sostanzial­mente la stessa definita dal Concilio di Trento. «All’inizio degli anni Sessanta del Novecento, poco prima della contestazi­one, questa Chiesa sorprese il mondo prendendo audacement­e posizione in merito alla sua stessa storia nei quattro secoli precedenti e avviando un ripensamen­to della sua impalcatur­a istituzion­ale». Forse non si può attribuire anche questo alla contestazi­one giovanile, però avevano sicurament­e ragione quelli che cantavano The Times They are a-changin’.

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