Corriere della Sera

Placido: «Sono martiri, ora alziamo la voce»

Il regista pugliese che denunciò il racket nel film «Pummarò»: aspetto il capo del governo

- Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Sono 16 martiri del nostro Paese. Quelli di ieri, a Lesina, e quelli del 4 agosto tra Ascoli Satriano e Castellucc­io dei Sauri». Michele Placido li chiama così i braccianti agricoli morti nei due incidenti, ravvicinat­i nel tempo, avvenuti nel Foggiano. Lui che, nel 1990, esordì alla regia proprio con Pummarò, film sui raccoglito­ri di pomodori attivi nel Beneventan­o.

Un’altra epoca, ma a quanto pare le ferite oggi sono le stesse.

«Pensi che quando uscì Pummarò si cominciava a parlare appena di questi lavoratori e sempre con un certo scetticism­o. Ricordo bene la reazione di alcuni critici italiani quando portammo il film al 43º Festival di Cannes: parlarono di scarsa verosimigl­ianza. Ironico, no?»

Forse perché sembravano casi isolati, destinati a essere dimenticat­i?

«La sensazione era quella, ma si capiva che il lavoro stava cambiando».

Ascoli Satriano, la città dove è avvenuto l’incidente di sabato, è anche la sua città di origine.

«Sì ed è anche per questo che la cosa mi ha colpito. Ovviamente andrò al funerale, ma vorrei lanciare un appello al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, foggiano pure lui: presidente, venga a vedere bene che cosa succede».

Ha detto che verrà.

«Benissimo, io sono anni che denuncio le condizioni di queste persone, ma attenzione: non facciamone una questione razziale. È una questione sociale, sindacale. Di lavoro, insomma. Certo, noi artisti non possiamo e non dobbiamo sostituirc­i alla politica o alla magistratu­ra. Però mi dà fastidio che si dica che gli intellettu­ali tacciono su questi e su altri argomenti importanti della nostra attualità».

Eppure negli anni il cinema e la letteratur­a hanno spesso indicato le insidie nascoste del caporalato.

«Che però sono difficili da capire e da spiegare. Ricordo che quando girammo Pummarò, cioè la storia di un ragazzo ghanese che arriva qui cercando il fratello bracciante, Giobbe, uno braccato dalla polizia e dalla camorra per essersi ribellato, facemmo diverse riprese di nascosto per documentar­e la pratica del caporalato. Che cambia pelle a seconda degli anni. Purtroppo ridare dignità al lavoro della terra non è facile».

Da dove ricomincia­re?

«Per esempio non facendo spegnere subito i riflettori su questi incidenti e su altri problemi di queste persone. Ricordando­li anche nel lavoro che hanno fatto: grazie a loro mangeremo scatole intere di pomodori».

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Cineasta ll regista e attore Michele Placido, 72 anni (Lapresse)

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