Rebus Brexit, il governo gioca con il fattore paura E Johnson «trama» nell’ombra
Il trattato di Lisbona. Nel giorno peggiore della sterlina (mai così male negli ultimi 11 mesi rispetto al dollaro, giù dello 0,31% sull’euro a 1,2962) e del silenzio inquietante di Theresa May su quello che lei e Emmanuel Macron si sono detti nel summit d’emergenza di venerdì scorso nel sud della Francia, faceva impressione, ieri, leggere sulla prima pagina del Daily Telegraph — soprannominato storicamente «Torygraph» per le chiare simpatie conservatrici — che il governo May, davanti allo spettro del «No Deal» sulla Brexit, intenderebbe appellarsi al trattato di Lisbona del 2007. L’accordo che in sostituzione della (bocciata dagli elettori e mai nata) Costituzione europea apportò ampie e strutturali modifiche al trattato di Maastricht del 1992.
Impressiona che il caporedattore politico del Telegraph spieghi personalmente in prima pagina come la carta rimasta in mano al governo May sia quella di appellarsi a un’interpretazione piuttosto liberale dell’articolo 8 del trattato, pertinente a «relazioni speciali» con i Paesi vicini in tema di cooperazione e relazioni pacifiche. Perché allora se l’ultima carta del governo è davvero questa — far dichiarare a una anonima fonte governativa che «secondo il trattato di Lisbona la Ue è obbligata a aiutarci» e «se va male sarà colpa loro» — diventa sempre più credibile la voce che era circolata a Londra
L’incontro con Macron
May avrebbe detto al presidente francese che senza concessioni la Ue si troverebbe a trattare con l’ex ministro degli Esteri
fin da sabato scorso, e cioè che la sintesi dell’appello di May a Macron fosse quella che senza qualche immediata concessione al governo britannico May cadrà presto, e in autunno Macron e la Ue dovranno trattare con Boris Johnson, più intransigente di lei.
In questo quadro anche il segretario al Commercio britannico Liam Fox che dà quotazioni da allibratore sul «No Deal» che vede favorito 60/40 — ovvio che poi la sterlina scenda — passa in secondo piano rispetto a David Davis, ex segretario per Brexit, che dichiara sempre al Telegraph che «anche la Ue ha molto da perdere, e fanno male i loro conti se pensano che alla fine il Parlamento britannico troverà comunque un accordo».
Se la posizione ufficiale del governo dovesse diventare questa — far ricadere bizzarramente su Bruxelles l’onere di trovare una via d’uscita al referendum imprudentemente voluto da David Cameron senza aver preparato nessun piano per l’uscita — non si vede come la quotazione prevista da Fox su un «No Deal» non sia in realtà molto ottimistica, altro che sessanta contro quaranta. Quando Boris Johnson, poco dopo la vittoria del Leave, disse che la sua posizione su Brexit era «la botte piena e la moglie ubriaca» tutti risero perché era una battuta divertente e si pensava che in realtà un qualche tipo di piano B ci fosse. Ora non ride piu nessuno, e Boris è tornato a scrivere sul Telegraph la sua vecchia rubrica, aprendo astutamente alla libertà per le donne musulmane di indossare il burqa, cercando di resuscitare la sua immagine da conservatore indipendente, conscio del crollo di May nei sondaggi interni al partito, e di averla superata.