Il buio per 46 ore, poi le voci degli amici «Io salvato dai miei colleghi speleologi»
Udine, Stefano Guarniero bloccato a 200 metri di profondità: laggiù ho dormito molto
Il momento più bello? «Sarebbe banale dire quando sono uscito fuori. No, sono stati tanti i momenti fantastici. Come quando vedi le luci che si avvicinano, senti le voci, le riconosci, sono i tuoi amici, quelli con cui ti addestri quattro-cinque volte all’anno, con cui hai condiviso tanti momenti importanti. E questa volta sono venuti per recuperare te. È una bella sensazione vedere la cavalleria che arriva...».
Stefano Guarniero, triestino, 33 anni, è uno speleologo giovane ed esperto. Fa parte del Soccorso alpino del Friuli Venezia Giulia dal 2007. Infermiere al polo cardiologico di Cattinara, tante volte si è calato sotto terra per salvare la vita di altri.
Sabato mattina è salito sul Monte Canin con altri tre compagni per esplorare nuove cavità. Sono scesi a 200 metri di profondità nella grotta chiamata «Frozen», neve e ghiaccio all’entrata, zero gradi all’interno. Alle due del pomeriggio ha ceduto la roccia dove aveva piantato un tassello di sicurezza. «Sono caduto per 15 metri. Sentivo male dappertutto, in particolare all’addome. Ho pensato al peggio».
Stefano invece è stato fortunato, qualche ammaccatura e una frattura esposta al gomito destro. I medici devono ancora decidere se operarlo, ma lui si guarda il braccio fasciato come se fosse un regalo. Sul letto del pronto soccorso dell’ospedale di Udine chiude gli occhi e sospira: «Mi è andata davvero bene. Grazie anche ai miei compagni, non mi hanno mai lasciato solo». Due sono subito andati a chiamare aiuto. «Balzarelli, 76 anni, il più giovane del gruppo — dice sorridendo — è rimasto con me fino a quando sono arrivati i primi soccorsi. È stato meraviglioso, non ha mai smesso di parlarmi».
Per riportare fuori Stefano si è mobilitato un piccolo esercito arrivato da tutta Italia. Tre elicotteri, ventidue tecnici alpini, novantaquattro tecnici speleologi, tra cui una squadra di «disostruttori» per allargare i cunicoli anche con microcariche esplosive e far passare la barella. E sempre con loro un medico e un infermiere. «La mia amica Cristiana, marchigiana, insieme a Matteo, di Parma. E prima di loro, Roberto e Roc. Quanti interventi abbiamo fatto insieme».
Come quattro anni fa in Germania, nell’abisso di Riesending, per recuperare uno speleologo che si era fatto male a mille metri di profondità, un’operazione che fece scuola per le capacità di intervento degli uomini del Soccorso alpino e speleologico del Friuli Venezia Giulia. «Rimasi giù con il ferito per ottanta ore — ricorda —. Mai avrei immaginato di trovarmi io in una situazione simile».
Stefano, «Giusto» per gli amici, sapeva bene cosa fare in questi casi e alla fine le 46 ore al freddo e al buio sono passate velocemente. «Ho preso dei farmaci, ho dormito molto. Ho cercato di essere lucido, concentrarmi e ragionare. Chi fa soccorso ha tanta voglia di aiutare chi è in difficoltà e sa bene che certe cose possono capitare anche a te. Tra di noi ci scherziamo su, ma quando ti trovi tu in queste situazioni è un po’ diverso».
Stefano è sposato, ha tre figli, una bambina di 10 anni, una di 5 e un maschietto di un anno. «Non gli hanno detto niente. Solo la grande sa che mi sono fatto male in una grotta, ma niente di più. Mia moglie? Anche lei è speleologa, non a questi livelli. Adesso vorrebbe bruciarmi tutta l’attrezzatura...».
Lui però non è d’accordo. Spera di rimettersi presto in forma e di tornare ancora sul Canin, al confine con la Slovenia, a esplorare quel sistema di cunicoli che potrebbe nascondere la voragine più profonda d’europa. E aggiunge: «Spesso in questi anni con i compagni del Soccorso abbiamo pensato di organizzare delle esercitazioni, ipotizzando il recupero di un ferito in condizioni estreme. Diciamo che questa volta abbiamo fatto una signora simulazione. E ho già una lista di cose da aggiungere nei nostri zaini. A partire dai cuscini, devono essere molto più comodi».