«Farmaci, l’italia può riscattarsi dopo la perdita dell’ema a Milano»
Il capo dell’agenzia trasferita ad Amsterdam: terapie innovative, partita da vincere
«Milano ha perso l’ema, ma l’italia deve e può contare di più nell’europa del farmaco». In gioco ci sono le cure del futuro: se, come e per quanti ammalati il nostro Paese sarà in grado di finanziarle, il coinvolgimento degli scienziati italiani negli studi più all’avanguardia, la possibilità per i pazienti di avere il prima possibile nuove medicine per gravi malattie. È il motivo per cui Guido Rasi, 64 anni, dal novembre 2011 direttore esecutivo dell’agenzia europea per i medicinali (Ema) — ossia il gran capo dell’autorità che autorizza le nuove terapie e controlla la loro sicurezza — decide di rompere il silenzio che ha accompagnato tutta la battaglia di Milano per ottenere l’ema (la sfida è stata persa al sorteggio lo scorso 20 novembre). In quest’intervista al Corriere, realizzata nel suo ufficio al numero 30 di Churchill Place a Londra prima della partenza per le vacanze, Rasi insiste soprattutto su un concetto: «La sconfitta di Milano non chiude tutte le altre opportunità».
Ma come fa un Paese a contare di più?
«Per essere influente un Paese deve investire nella propria agenzia nazionale che nel caso dell’italia è l’aifa e imporle un raccordo strategico con l’ema».
Non lo facciamo?
«Attualmente l’aifa con i suoi 450 dipendenti è pesantemente sottodimensionata e poco connessa al network europeo. I governi dei Paesi influenti consultano Ema regolarmente per la loro programmazione di spesa e investimenti e per ricevere indicazioni su quali profili di esperti siano più efficaci per le loro strategie».
Per Aifa è un momento di svolta: il nuovo ministro Giulia Grillo ha avviato la selezione pubblica per rinnovare i vertici dell’agenzia (oggi il direttore generale è Mario Melazzini).
«Io non mi permetterei mai di avanzare nomi e suggerimenti. Ma mi dispiace non potere essere maggiormente utile al mio Paese».
Perché è importante partecipare attivamente ai lavori di Ema?
● Medico specialista in Medicina Interna, Allergologia e Immunologia Clinica, ex direttore dell’aifa, dal luglio 2011 è Direttore esecutivo dell’agenzia europea dei medicinali (Ema)
«Solo così è possibile sapere con tre/quattro anni di anticipo le nuove cure in arrivo; definire la conseguente programmazione della spesa sanitaria; avere le informazioni necessarie per immettere sul mercato i farmaci innovativi subito dopo l’autorizzazione di Ema a livello europeo; e fornire agli sviluppatori di farmaci una guida importante per disegnare nel modo migliore gli studi clinici».
Chi influisce oggi sulle decisioni?
«Tradizionalmente 7/8 Paesi mandano nei comitati di Ema esperti influenti e supportati da adeguate squadre nelle Agenzie nazionali. Il livello di influenza è proporzionale alla qualità degli esperti. Ogni opinione scientificamente solida è ascoltata».
Cosa decidono i comitati di Ema?
«I sette comitati — in ciascuno dei quali ogni Stato ha due e un voto — sono il motore scientifico di valutazione per l’autorizzazione di nuovi farmaci. Ci sono, poi 76 gruppi tecnici specialistici, i cosiddetti working parties, con quattromila esperti che supportano il loro lavoro».
Perché l’italia deve partecipare
È iniziata ieri la seconda fase dello sgombero dell’ex Moi di Torino, il complesso che nel 2006 ospitò il villaggio olimpico degli atleti e che da cinque anni è occupato da profughi. A novembre vennero liberati gli scantinati, ieri è toccato a una delle quattro palazzine dove abitavano un centinaio di famiglie, in prevalenza somale. La maggior parte delle persone, una novantina, tra cui otto bambini, ha aderito al progetto di ricollocazione.
ai tavoli Ema con più convinzione?
«La scienza è assoluta, ma ogni Paese ha caratteristiche socioeconomiche diverse: ciascuno deve garantirsi che nel processo di valutazione del costo-beneficio di una terapia innovativa venga preso in considerazione anche l’uso ottimale del farmaco nel contesto del proprio Paese».
Altrimenti?
«Quando un farmaco viene autorizzato da Aifa, al Paese mancano i dati utili a stabilire il suo utilizzo sulla propria popolazione, importanti anche per trattare il prezzo con le multinazionali farmaceutiche. Chiederli dopo, fa perdere tempo e ritarda l’arrivo delle nuove terapie sul mercato».
Insomma: oggi l’italia rischia di conoscere tardi le terapie innovative in arrivo e di ritrovarsi nell’impossibilità di programmare al meglio la spesa sanitaria?
«Ripeto: l’italia deve e può contare di più. Oltretutto il contributo scientifico è generosamente remunerato da Ema. La Gran Bretagna incassava 16 milioni di euro l’anno. È una partita da non perdere»