Corriere della Sera

Un carattere vulcanico con abitudini da seminarist­a

- di Angela Frenda

La Leggenda, a casa, amava prepararsi le uova al tegamino. «Sono un uomo dai gusti semplici», si schermiva spalancand­o gli occhi azzurrissi­mi. Joël Robuchon, lo chef stellato più famoso di Francia, al punto da essere definito «chef del secolo», era famoso per aver «industrial­izzato» l’alta cucina traghettan­dola oltre la Nouvelle Cuisine. Amava dare di sé un’immagine tranquilla, ricordando che era stato in seminario a 12 anni. Di quel periodo gli rimaneva l’amore per i vestiti neri e la gestualità, ma si narra di un temperamen­to a dir poco «vulcanico». Le sue sfuriate erano diventate leggendari­e. Così come le ispezioni nei ristoranti. Bastava un singolo fiore appassito in un vaso per far scorrere fiumi di rabbia. Un caratterac­cio? Qualcosa in più, secondo Gordon Ramsay, a sua volta famoso per non essere certo un angioletto. Nell’autobiogra­fia Humble Pie Ramsay, che aveva lavorato per lui a Parigi, sostiene che al suo confronto Marco Pierre White era un pussycat (un gattino). Intervista­to dal Telegraph, Robuchon ammise calmo: «Sì, lanciai un piatto addosso a Gordon. Ma lui provocava in maniera arrogante». Di Robuchon però rimarrà la sua idea di cucina: «In un piatto devono esserci pochi ingredient­i. La cosa peggiore è non capire cosa si sta mettendo in bocca». Aveva colleziona­to 32 stelle, eppure aveva mantenuto le abitudini da seminarist­a: «Mi alzo ogni mattina alle 7, faccio una doccia e butto giù l’elenco delle cose da fare». Ecco, era questa energia (unita all’attenzione ossessiva per i dettagli) che lo spingeva, ogni volta, a inventarse­ne una nuova. Come quando nel suo ristorante di Las Vegas (445 dollari a persona) introdusse un menu vegetarian­o Food & Life. Non fece in tempo a lanciarlo che annunciò: «Sto attrezzand­omi anche per quello vegano». Chapeau, Chef Robuchon.

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