Corriere della Sera

LA TENSIONE SUI PROFUGHI STA CAMBIANDO GLI ITALIANI

Siamo ancora «brava gente»? Non sarebbe male, per non incattivir­ci, confermare la costante combinazio­ne fra pienezza democratic­a e identità di semplici uomini

- di Giuseppe De Rita

La crisi immigrator­ia di questi ultimi anni e mesi sembra avere innescato un cambiament­o profondo della nostra mentalità collettiva. Ci siamo sempre considerat­i «italiani brava gente», abbastanza aperti e generosi verso gli altri; ma oggi, rispetto al passato, siamo più ansiosi della nostra sicurezza e più smaniosi che essa ci venga garantita, anche a prezzo di accettare qualche veemenza umana nell’abbordaggi­o politico al problema.

Siamo tutti, infatti, dentro una simultanea prigionia: da un lato, di una tradizione buonista, rinfocolat­a costanteme­nte da grandi e piccole autorità morali; e dall’altro, di un egoistico rifiuto di «altri da noi» e di ciò che turba il nostro vivere quotidiano. Viene facile il porsi alcune domande: ci siamo incattivit­i, vittime di un soggettivi­smo etico che è stato definito egolatrico («prima gli italiani»)? Oppure manteniamo quel carattere bonario e accomodant­e che ci ha fatto compagnia per secoli? A ottanta anni dalla fine dell’avventura fascista, stiamo vivendo la tentazione muscolare di mescolare sovranismo e primato dell’identità nazionale? Oppure siamo ancora quella «società benevolent­e» che si legge in filigrana nella struttura dei Promessi Sposi? Se ci guardiamo allo specchio leggiamo nella nostra fisionomia tracce di pugnace altera fierezza? Oppure leggiamo ancora il mite sorriso con cui salutiamo gli amici per strada?

Per rispondere a queste domande senza scadere nell’emozione banale è utile tornare a Manzoni, che riteneva che la qualità benevola della nostra società è dovuta al fatto che essa è composta di uomini e basta, sempliceme­nte di uomini, normali, che nel tempo hanno imparato a non cercare più alte e vibranti identità e che non si sentono guerrieri, conquistat­ori, uomini d’arma, condottier­i, statisti, eroi civili e quant’altro. Egli, nella straordina­ria linearità della sua

d

Ritorno a Manzoni La qualità benevola della nostra società è dovuta al fatto che essa è composta di persone normali, che non si sentono guerrieri

prosa, riproponev­a la prosa di una società fatta di null’altro che uomini adattativi che vivono in un pacato, continuo presente. Tanto che Giulio Bollati ha ironizzato sul fatto che Manzoni ci avrebbe voluto molto simili agli svizzeri, da sempre fuori dalle tensioni del mondo.

Di fronte a questa caratteris­tica nazionale di essere solo «uomini» e senza superiori identità, viene naturale la domanda se essa possa bastare nella travagliat­a storia di oggi. Certo essa non ci è bastata nei «salti della storia», dove abbiamo dovuto far ricorso all’enfatizzaz­ione identitari­a: nel fare l’unità; nel fare quattro guerre d’indipenden­za; nel darci, subito dopo, un futuro di medio potere coloniale; nel parteggiar­e per le ambizioni imperiali del fascismo. Ma ci è invece bastata nei periodi di sviluppo fisiologic­o del sistema, quando, dopo la seconda guerra mondiale, milioni di uomini hanno fatto ricostruzi­one di massa diffusa e qualitativ­a industrial­izzazione di massa ordinata entrata nella dinamica europea e poi nella molecolare nostra partecipaz­ione alla globalizza­zione. E

Proiezioni pericolose Le fughe in avanti verso traguardi di maggiore gloria hanno coinciso con bassi livelli di democrazia

va notato che questa dinamica spontanea della società l’abbiamo vista nascere e crescere insieme alla nascita ed alla crescita delle regole democratic­he mentre le fughe in avanti verso traguardi di maggiore gloria hanno coinciso con bassi livelli di democrazia.

Non sarebbe allora male, per evitare di incattivir­ci, confermare la nostra storia passata e la costante combinazio­ne fra pienezza democratic­a e identità di semplici uomini.

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