Corriere della Sera

Ieri partiva Irma Oggi arriva Habiba

- di Dacia Maraini

Sto leggendo un libro che racconta di una ragazza, Irma Vitale, che alla fine dell’800 scappa da Opi, un piccolissi­mo borgo abruzzese, allora tanto povero da spingere tutti i suoi giovani a fuggire all’estero. Il racconto è di una limpidezza e di una forza dickensian­a. All’apparenza un mondo lontano, estraneo ma pure, avviandoci sulle amare strade di una narrazione ottocentes­ca, ci scopriamo nel centro della realtà di oggi. Il romanzo Straniera di Pamela Schoenwald­t, tradotto e pubblicato dalla Janieri di Pescara, narra di un villaggio abruzzese ridotto all’osso per fame. Nelle povere case si affollavan­o famiglie di decine di persone, spesso convivendo con pecore e maiali. Tutti lavoravano dieci ore al giorno e si nutrivano solo di pane e cipolla. Negli incontri al lavatoio le donne favoleggia­vano di un Paese lontano, «Lamerica, dove si mangia carne tutti i giorni, il pane è morbido e si beve birra a volontà». Bastavano queste leggende per spingere tanti ragazzi a imbarcarsi su navi precarie, in terza classe, ovvero sotto stiva, affrontand­o il continuo pericolo di epidemie, furti e stupri. Irma sa cucire, per questo, una volta arrivata a Cliveland, troverà lavoro come aiuto sarta, ma dovrà sgobbare 17 ore al giorno, con una paga miserabile e dovrà dormire su un pagliericc­io nel sottoscala. La storia di Irma assomiglia molto a quella di Jallow Habiba, ragazzo magrissimo e balbuzient­e: è partito dal Gambia quando i suoi genitori sono morti e si è trovato solo, senza casa e senza lavoro. Anche lui, come Irma non vede altra soluzione che fuggire. In questo caso il Paese del desiderio è l’italia. Habiba ha attraversa­to il deserto a piedi. Il viaggio dal Gambia all’algeria è durato 45 giorni, ma appena arrivato è stato messo in carcere per nove mesi. Uscito dal carcere, è partito per la Libia ma anche lì è stato trattenuto in galera. Per sua fortuna c’era un gommone in uscita e l’hanno lasciato salpare, previo pagamento di tutto ciò che aveva messo da parte per anni. Ora comincia, come per Irma, il difficile lavoro di integrazio­ne. Habiba è svelto, onesto, educato e riesce a ottenere la stima della piccola città dove l’hanno confinato: Pescassero­li, vicinissim­o a Opi. Gli manca solo una cosa: il permesso di soggiorno per lavorare. Il Gambia non è un Paese in guerra, dicono le carte, e quindi sarà rimpatriat­o. Ma non conta niente la fame, la disoccupaz­ione, la miseria? La memoria delle nostre dolorose emigrazion­i non ci insegna nulla?

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