Carmelo Bene contro il cinema Genealogia di un’invettiva
Nel ’95 Sandro Veronesi intervistò l’attore. Ne nacque un monologo mai pubblicato, ora su «Linus»
niamo a quel tipo d’umanità che è sì riuscita a prevalere sulle altre, ma non per questo le sue convinzioni hanno cessato di essere opinione e fede.
Rümelin afferma che il principio capitalistico dell’«ottimizzazione» (l’aumento indefinito del profitto) spinge il mondo verso l’eliminazione dei confini tra gli Stati nazionali, cioè verso la globalizzazione economica e quindi è promozione di un flusso migratorio senza limiti, che consente di ridurre sempre di più il costo del lavoro. Ed egli mostra la catastrofe che questo principio, lasciato a sé stesso, produrrebbe nei migranti, nel mondo ricco, nel capitalismo stesso. La politica avrebbe allora il compito di salvaguardare i confini, ma senza eliminare l’efficienza dell’economia di mercato. Il compito etico sarebbe appunto di rendere «umana» questa forma di economia, impedendo alle concezioni assolutistiche del filosofare di rendere inefficaci le «buone ragioni». Un capitalismo sano non è, per lui, un’utopia. E infatti, oggi, quasi nessuno crede più in una fuoriuscita dal capitalismo.
Uno dei motivi principali di questa convinzione è lo straordinario sviluppo tecnologico di cui soprattutto il capitalismo si avvale. Ma in questo modo si continua a confondere capitalismo e tecnica. Che invece (lo vado mostrando da tempo anche su queste colonne) hanno anime profondamente diverse. Il capitale (più o meno «umano») crede di poter continuare a servirsi della tecnica, ma ha nemici esterni e interni (la concorrenza) e quindi è costretto a potenziare sempre di più questo suo formidabile strumento. E allora non è forse inevitabile che tale potenziamento divenga esso, e non l’incremento del profitto, lo scopo dell’agire capitalistico — di un agire che pertanto non potrà più essere «capitalistico»? E non è quindi inevitabile che a gestire i problemi della migrazione non possa essere né il capitalismo né un’«etica della migrazione», ma abbia a essere la crescente potenza tecnica, divenuta, da mezzo delle forze che oggi si credono alla guida del mondo, lo scopo di ogni agire dell’uomo?
E, d’altra parte, i più grandi e duraturi cambiamenti dell’occidente non sono forse determinati dalla filosofia, cioè dal pensiero che non si propone di risolvere immediatamente i problemi? Tutte le complessità concettuali e pratiche della storia occidentale non sono forse cresciute all’interno dei significati fondamentali portati alla luce dal pensiero filosofico («verità», «scienza», «errore», «opinione», «fede»,«fondamento», «dimostrazione», «essere», «non essere», «divenire», «nulla», «eternità», «etica», «politica», ecc.)? La scienza moderna si distacca dalla filosofia, ma come chi nasce si distacca dalla madre: rimanendo tuttavia qualcosa che essa ha generato e che di essa è quindi il prolungamento. E la pratica capitalistica — stando a una tesi tuttora chiarificante di Max Weber — non deriva forse dall’etica protestante, cioè da un innesto del pensiero filosofico nel pensiero religioso? L’unione Sovietica e il comunismo mondiale non sono forse un prodotto della filosofia marxista (che ha alle sue spalle la filosofia di Hegel, la quale a sua volta raccoglie in sé l’intera storia del pensiero filosofico della tradizione occidentale)? ● Nel 1995 Sandro Veronesi (qui sopra) coinvolge Carmelo Bene in un ciclo di trasmissioni tv sul cinema
● Il monologo che ne scaturisce, andato in onda a brani, viene pubblicato per la prima volta sul numero di agosto della rivista «Linus», in edicola e in libreria da oggi (La nave di Teseo Baldini+castoldi, pp. 120, 6; in alto: la copertina), con la premessa di Veronesi che anticipiamo, con un ritratto di Giorgio Carpinteri e le illustrazioni di Marco Galli. Direttore responsabile di «Linus» è Elisabetta Sgarbi, direttore generale de La nave di Teseo
● Anticipiamo anche un brano del monologo (per rispettare la scansione dei versi abbiamo rinunciato all’impaginazione a epigrafe dell’originale)
● Carmelo Bene (Campi Salentina, Lecce, 1937 – Roma, 2002) fu attore, autore e regista
Nel millenovecentonovantacinque fui invitato a fare una trasmissione televisiva quotidiana dal Festival del Cinema di Venezia.
Era il centenario dell’invenzione del cinema, e si sentiva puzza di celebrazione lontano un miglio.
Allora, per arginare una deriva che sarebbe risultata stucchevole, pensai di registrare un’intervista con Carmelo Bene, le cui idee sul cinema mi erano note, per mandarne un pezzetto ogni sera, all’inizio di ogni puntata, di modo da precipitare il cinema in cinque minuti di dannazione prima di cominciare a scampanare sul suo secolo di vita.
Non fu un’intervista vera e propria: gli mandai per fax i titoli delle scalette di ogni puntata e poi andai nella sua casa di Otranto a registrare il monologo con cui, seguendo il filo che gli suggerivano i miei titoletti, lui rovesciò sul cinema la sua formidabile invettiva.
Non ho conservato il foglio con i titoli della scaletta, e non me li ricordo più. Ma non hanno importanza.
L’occasione
Era il centenario del cinematografo: lontano un miglio si sentiva puzza di celebrazione
I l cinema, che non ha mai avuto cinema, è sempre stato un plebiscito contro
il buon gusto, così come Nietzsche definisce il teatro. S’attanaglia meglio del cinema. Questa sala buia, o semi buia, dove la gente va da tempo a sedersi e non si capisce perché a un certo punto si accenda un quadrato: se lasciassero al buio anche quello, ecco… Ma noi occidentali non siamo abituati, c’è poco Oriente, ecco, l’india facile non basta, appunto, a spegnere tutto, come dovrebbe avvenire nei palcoscenici
lirici, diciamo, melodrammatici. C’è sempre la regia, il servizio buono, tutte queste cose. ***
Non come la musica di Rossini, per esempio, che è un precipitato di non eventi,