Il «pentito» Gates inchioda Manafort Il processo che fa tremare la Casa Bianca
L’ex capo della campagna del presidente rischia per reati finanziari. E se per salvarsi parlasse?
WASHINGTON Nel tribunale di Alexandria, poco lontano da Washington, stanno maturando la disfatta totale di Paul Manafort, 69 anni e il primo successo processuale di Robert Mueller, 74 anni compiuti ieri.
Il 30 ottobre del 2017 il super procuratore, titolare dell’indagine sul Russiagate, aveva rinviato Manafort a processo con 12 capi di imputazione per reati finanziari, dall’evasione fiscale al riciclaggio. L’ordinanza di Mueller accusava il lobbista e avvocato di Washington di aver accumulato, in combutta con il partner d’affari Rick Gates, circa 78 milioni di dollari in nero, smistati in dodici società fittizie a Cipro, due nelle isole Granadine e una nel Regno Unito. Manafort, inoltre, avrebbe riciclato 12 milioni, comprando due case a Manhattan e una ad Arlington, in Virginia, oltre a tre RangeRovers, una Merced es, tappeti, impiantih i-f i, quadri, abiti da 10 mila dollari e altro ancora. Una gran parte di questo denaro proveniva dai compensi ottenuti dall’ex presidente dell’ucraina, il filo russo Viktor Yanukovich, poi defenestrato nel gennaio 2014 dalla rivolta di Maidan.
Le udienze di questa prima settimana e la lunga testimonianza di Gates, 46 anni, nel frattempo diventato un « pentito » e un collaboratore dell’fbi, hanno confermato la sostanza dell’istruttoria di Mueller, milione più, milione meno. Alla lista si è aggiunta una giacca di struzzo da 15 mila dollari. È venuta fuori anche la ricostruzione di un ambiente intossicato non solo dalla sistematica violazione delle leggi, ma anche dalle bugie, dagli imbrogli continui t ra soci. Gates, per esempio, ha ammesso tranquillamente di aver rubato « centinaia di migliaia di dollari » al suo ex boss.
È un processo che incuriosisce: ogni mattina, davanti all’aula si forma una lunga coda di cittadini che vogliono assistere al dibattimento. Ed è un processo che allarma la Casa Bianca. Manafort è stato per pochi mesi, dal giugno all’agosto del 2016, il capo della campagna elettorale d iD on ald Trump. Ma dal 1976 è una presenza fissa nella geografia repubblicana della capitale. Ha fatto parte dello staff di quattro presidenti: George Ford, Ro-
nald Reagan, Bush padre e figlio. E soprattutto conosce « The Donald » fin dal 1987. All’epoca aveva fondato una soci età di l obbying con Roger Stone, altra figura chiave negli ambienti conservatori. Fu proprio Stone a scoprire la miniera d’oro delle dittature. In quegli anni i due diventarono consulenti di personaggi come Mobutu dell’allora Zaire o del leader dei ribelli angolani Jonas Savimbi. Manafort ha proseguito poi da solo, fino ad agganciare Yanukovich, tessendo rapporti con altre società di co- municazione, come quella del giornalista AlanFri ed man ( estraneo, però, ai traffici contestati da Mueller).
Nello stesso tempo Manafort e Stone sono stati tra i primi «advisor» politici di Trump. Fin dal 1987 i due avevano valutato l’opportunità di una candidatura del costruttore newyorkese alla Casa Bianca. Il rapporto è rimasto costante nel tempo.
Ora Manafortr ischia una condanna pesantissima: almeno 28 anni di carcere. Reggerà alla sentenza? Aspetterà che il presidente, antico sodale, gli conceda la grazia? Oppure crollerà, accettando, dopo tanto silenzio, di rispondere alle domande di Mueller?
Manafort ha partecipato all’ormai famoso incontro organizzato da Donald Trump jr con un’ avvocata russa nella Trump Tower, il 9 giugno 2016. C’era anche il genero del presidente, Jared Kushner. L’obiettivo era ottenere « informazioni compromettenti » su Hillary Cl in ton. Come andò esattamente? Le parole di Manafort potrebbero risultare fondamentali emettere nei guai D on aldJ re forse ancheJar ed.