Lontano da Berlino, laggiù nel rancore: storie dall’altra Germania
Unterleuten ( « tra la gente » ) è a un’ora di macchina da Berlino ma ne dista anni luce. Piccolo paese ( fittizio) in mezzo alle campagne dell’ex Ddr, è il teatro di uno scontro di civiltà tutto interno alla Germania. Da una parte ci sono coloro che sono nati tra i suoi campi e i suoi boschi, sopravvissuti fuori dal Progresso e ancora divisi dai risentimenti che risalgono all’epoca del Comunismo; dall’altra i nuovi arrivati: cittadini dell’ovest che pensano di essersi conquistati un personale paradiso incontaminato da colonizzare.
A rompere gli equilibri solo superficiali della minuscola comunità è il progetto di un parco eolico voluto dal Land per modernizzare il distretto. Gli abitanti di Unterleuten si divideranno tra chi, come il presi dente dell a cooperativa agri col a Gombrowski ( ex proprietario terriero espropriato dallo Stato socialista e ancora dominus del paese), lo considera un’opportunità per salvaguardare il lavoro e il futuro di tutti e coloro che si oppongono alla « speculazione » forestiera. Tra questi c’è Gerhard Fließ l’ex professore berlinese diventato guardia ornitologica per sfuggire ai fallimenti della sinistra critica sconfitta dal capitalismo. Oppure Kron, contadino nostalgico del socialismo reale che ancora coltiva segreti e rancori di un mondo che non esiste più.
Con Turbine ( traduzione di Riccardo Cravero e Roberta Gado, Fazi) Juli Zeh costruisce un romanzo sociale in cui, anche se l’azione è un susseguirsi di incidenti minori, si sente il ribollire di forze grandi come la Storia. Racconta con grande maestria una Germania molto diversa dalla sua cosmopolita capitale e soprattutto sa mostrare le ragioni e i torti che coesistono in ognuno. In particolare quelli di coloro che sono destinati a essere travolti dello spirito del tempo, incapaci di tenere il passo di cambiamenti più veloci di loro.
« Nessuno tranne Gerhard sembrava più credere che la felicità consistesse nel lottare insieme per una buona causa. Tutti cercavano la salvezza piuttosto nell’allenamento del corpo e della mente. Gerhard si vedeva circondato da atleti. Atleti degli studi, atleti della professione, atleti dell’amore, atleti della vita. Nella lotta di un tempo ci si sentiva sempre parte di un gruppo; l’allenamento invece rende soli » , scrive dell’ex professore. E non importa che la diagnosi di Fließ sia condivisa dall’autrice: il suo tentativo di trovare una causa comune e un noi per cui impegnarsi si rivelerà un castello di autoillusioni.
Succede spesso nel romanzo che i meglio intenzionati siano anche quelli che producono più sciagure. Le loro idee preconcette li rendono ciechi agli altri. Il resto lo fa la forza inarrestabile delle dicerie, le leggende che prendono il posto della realtà perché la gente non sa più comunicare e finisce per reagire ad azioni e intenzioni i nventate e poi attribuite al prossimo. « Aveva appena risolto uno dei più grandi dilemmi dell’umanità, vale a dire perché c’è così tanta violenza a questo mondo » realizza a un certo punto Fließ: « Perché essere violenti è di una facilità pazzesca » .
La grande abilità di Zeh sta nel mostrare il groviglio di buona fede, opportunismi e incapacità di dialogare che fornisce l’aggancio psicologico di ciò che oggi per comodità chiamiamo populismo, la trama individuale dei conflitti tra culture.