Corriere della Sera

IPOCRISIE (E DAZI) IMPERIALI

- di Danilo Taino

Donald Trump ha ragione: la Cina non gioca pulito per quel che riguarda il commercio internazio­nale. Il problema è che nemmeno gli Stati Uniti e l’europa sono molto fair: praticano un «imperialis­mo del politicame­nte corretto» che spesso copre una realtà protezioni­sta. Sono due ragioni potenti per cambiare le regole globali sugli scambi e per riformare la Wto, l’organizzaz­ione mondiale del commercio oggi in notevole crisi e che, se non viene adeguata ai tempi, rischia di morire d’inedia. L’aggressivi­tà commercial­e del presidente americano ha aperto un’opportunit­à per affrontare una questione di enorme rilevanza.

Se il governo di un Paese riceve il Dalai Lama, può stare certo che Pechino applicherà — nei confronti del suo export e delle sue imprese — politiche ostruzioni­ste, se non di vero e proprio ostracismo. Non dichiarate ufficialme­nte. Quando, nel 2010, il Norske Nobelkomit­é assegnò il Premio Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo, il salmone della Norvegia non poté entrare per anni in Cina. Gli Stati del Sudest asiatico camminano sui gusci d’uovo quando debbono prendere decisioni politiche che potrebbero irritare Pechino: le ritorsioni commercial­i possono essere dolorose, come ha sperimenta­to di recente la Corea del Sud. E guai a chi sorride a Taiwan.

Se siete un’impresa hi-tech e volete entrare nel mercato cinese, con ogni probabilit­à vi verrà chiesto, come pedaggio d’ingresso, trasferime­nto di tecnologia a favore di imprese locali. Imprese che, invece, nella loro espansione internazio­nale sono spessissim­o sostenute da Pechino. Aiuti di Stato che vanno anche a favorire — come denunciato più volte dalla Ue ad esempio nel caso dell’acciaio — le esportazio­ni dalla Cina. In compenso, fare acquisizio­ni nell’impero di Mezzo è difficile per l’occidente: politica industrial­e e leggi le ostacolano. Google non è entrata nel mercato cinese per non piegarsi alla censura (ora sta riconsider­ando la scelta) e lo stop vale anche per altri giganti americani dell’internet: il che ha consentito lo sviluppo di grandi gruppi come Alibaba e Tencent a quel punto con scarsa concorrenz­a. Il tutto in sintonia con il progetto governativ­o Made in China 2025.

Dall’inizio del secolo, quando è entrata nella Wto, la Cina ha potuto migliorare le condizioni di vita di centinaia di milioni di suoi cittadini: un bene. E ha creato un grande mercato, anche questo positivo per le imprese occidental­i. Ora che è una forte economia e che il presidente Xi Jinping ha deciso di alzare il profilo di potenza del Paese, molte imprese e governi occidental­i sono però sempre meno disponibil­i ad accettare le pratiche commercial­i di Pechino. Le tariffe imposte da Trump alle importazio­ni dalla Cina rientrano

in questo quadro: non è affatto detto che siano la strada giusta per riequilibr­are la situazione; di certo, però, intervengo­no su uno stato dei fatti non sostenibil­e. Chi cita il vecchio ordine, stabilito nel dopoguerra, per criticare Trump che lo mina non tiene conto della portata dell’arrivo del gigante asiatico al banchetto del commercio mondiale, che ha stravolto menù e galateo.

L’incontro a Washington tra il presidente americano e quello della Commission­e europea Jean-claude Juncker, a fine luglio, ha sottolinea­to

Scambi La Cina spesso gioca con carte truccate. Ma pure l’occidente ha un approccio scorretto

questa realtà e ha aperto la porta a una collaboraz­ione (fragile, non scontata) tra le due sponde dell’atlantico per affrontarl­a. Cominciand­o dalla riforma della Wto. Qui, però, l’occidente ha un punto di debolezza: negli anni scorsi ha introdotto nel commercio una serie di regole che con il commercio hanno poco a che vedere ma ne hanno molto per la strada che i singoli Paesi, soprattutt­o quelli poveri, scelgono per sviluppars­i. Quasi sempre, ormai, negli accordi commercial­i vengono introdotte regole sui salari, sulle condizioni di lavoro, sull’ambiente, sul clima che in realtà funzionano da barriere non tariffarie e limitano il libero scambio. Non che salari e ambiente non siano importanti: è che legarli al commercio provoca distorsion­i, ovviamente sfavorevol­i ai Paesi meno avanzati.

Inoltre, in questo modo l’occidente costringe le nazioni più povere a percorrere modelli di crescita che forse non scegliereb­bero. Negano cioè agli altri di seguire una via verso la creazione di ricchezza che essi stessi hanno seguito agli inizi della loro industrial­izzazione. In un articolo recente sul Financial Times, l’economista americano Dani Rodrik ha scritto che occorre rispettare le diversità mentre invece «le nostre regole sul commercio si sono spinte troppo oltre». Se si vuole che la Wto funzioni e rimanga l’istituzion­e che scrive e fa rispettare le regole, queste vanno cambiate: per riportare la Cina a rispettarl­e e per evitare che il politicame­nte corretto di Stati Uniti ed Europa, che maschera il protezioni­smo, crei nuove tensioni tra ricchi e poveri.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy