Corriere della Sera

LA ROTTA INCERTA

- Di Daniele Manca

Le prime avvisaglie della legge di Bilancio che verrà stanno ingenerand­o tra cittadini, imprese e risparmiat­ori, un sentimento racchiudib­ile nel titolo di un celebre libro: «Io speriamo che me la cavo». I segnali, gli annunci e i dietrofron­t repentini da parte di ministri e politici della maggioranz­a stanno facendo prevalere la confusione rispetto a una chiara direzione di marcia.

L’ipotesi, poi negata, di voler mettere mano a quella che Lega e Cinque Stelle avevano più volte definito una mancia di Renzi, gli 80 euro a undici milioni di italiani, è l’episodio più recente.

E fa seguito all’iva che a giorni alterni aumenta o resta invariata. Sulle pensioni, che a effetto sono state chiamate «d’oro», ecco i tagli annunciati, poi rinviati e poi riannuncia­ti, per di più con soglie variabili secondo la giornata.

Sono esempi di comportame­nti che hanno alla base due peccati originali. Il primo è continuare a voler negare che le risorse siano scarse.

Anche se, come ha detto ieri il vicepremie­r Luigi Di Maio, «non si vuole tirare la coperta da una parte per scoprire l’altra», resta il fatto che la coperta è corta. Con un’economia che potrebbe crescere ancora meno secondo le previsioni dello stesso governo, di denari ce ne saranno ancora meno. E alcune scelte potrebbero contribuir­e alla loro contrazion­e.

Le coperture dei provvedime­nti non sono un concetto punitivo di chissà chi, ma il ragionamen­to che fa qualsiasi buon padre o madre di famiglia che conosce perfettame­nte quanti soldi entrano ogni mese e quindi quanti ne possono uscire. Lo Stato italiano da decenni spende più di quello che incassa con le tasse. E per farlo si indebita, anche perché l’altra strada sarebbe aumentare le imposte.

Non si illuda chi pensa di trovare spazio chiedendo maggiore flessibili­tà in Europa. Più deficit significa più debito. Nostro debito. Dall’europa non arrivano soldi. Non è una fissazione quella del ministro Giovanni Tria di non abbandonar­e il sentiero che porta alla riduzione dell’indebitame­nto: è la semplice constatazi­one che o si fa così o l’italia non riuscirà mai a lasciarsi alle spalle questa condizione di incertezza.

Senza dimenticar­e che andare verso la riduzione del debito è condizione necessaria per fare fronte ai nostri impegni. Può non farci piacere, ma se si sono chiesti in prestito soldi per mandare avanti il Paese (che significa pagare la Sanità, le pensioni, le scuole e via dicendo), non si può pensare di non restituirl­i: a chiunque siano stati chiesti, risparmiat­ori e investitor­i italiani (per la maggior parte), o esteri (per un terzo).

L’ansia di essere riconosciu­ti come i veri artefici del cambiament­o che permea molta della nuova politica non deve avere come effetto il disorienta­mento

Illusioni La via non è chiedere a Bruxelles maggiore flessibili­tà. Più deficit significa più debito

del Paese. E il cambiament­o oltre a essere effettivo e non solo manifestat­o a parole, non può essere fine a se stesso. Deve avere anch’esso un indirizzo, un obiettivo.

Arriviamo così al secondo peccato originale. Questa situazione di incertezza può diventare incomprens­ione tra maggioranz­a e Paese. Molto dipende da quel contratto di governo al quale ogni esponente dell’alleanza legastella­ta si richiama di fronte alle spesso evidenti contraddiz­ioni tra una forza e l’altra della occasional­e coalizione. Contratto i cui temi sono stati non casualment­e elencati in ordine alfabetico e non di priorità.

La semplice giustappos­izione di problemi con supposte soluzioni che compongono il testo che ha portato il primo giugno scorso alla nascita del governo, di per sé non è un indirizzo. Un conto sono i singoli atti, un altro quello che da loro discende o che permette di capire sulle intenzioni dei ministri.

Se Di Maio deve arrivare a dire che si è convinto sulla flat tax dopo una campagna elettorale condotta su altri versanti, c’è un problema di direzione. Se si vara un decreto Dignità che oggettivam­ente complica la vita alle aziende e in qualche caso aumenta loro le tasse (vedi sui contratti a termine), non si può sperare che le imprese vedano in quella misura un provvedime­nto amico. Se la soluzione alle crisi aziendali, dall’ilva all’alitalia, è l’intervento dello Stato, non si può pensare che il faro della maggioranz­a sia più concorrenz­a, meno monopoli, più privato.

Anche solo sul Fisco le domande si accavallan­o. Per tornare agli 80 euro, quale sarà il loro destino? Resteranno come dice Matteo Salvini con Di Maio, o si interverrà anche su questa misura per arrivare a un riordino complessiv­o come vuole Tria? E chi potrà sperare di essere avvantaggi­ato e chi penalizzat­o nelle due diverse opzioni? A questo serve l’indirizzo di governo, a dare orientamen­ti. Che nessuno possa perderci è ben poco credibile. E la credibilit­à in politica è tutto.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy