Corriere della Sera

UNA SINISTRA FUORI DAL TEMPO

Scenari Il blocco nazional-populista ha cercato di dare una risposta (se ci riuscirà è un altro discorso) a una vasta domanda di protezione sociale di tipo nuovo

- di Ernesto Galli della Loggia

Davvero a sinistra si crede che per fare opposizion­e al governo Salvinidi Maio e alle novità dei tempi che esso rappresent­a, basti mettere in campo ogni volta ragionevol­i proposte alternativ­e, basti essere a favore del «buonismo» e contro il «cattivismo», ligi alla Costituzio­ne, rispettosi dei «mercati» e dei «conti in ordine», osservanti delle buone maniere internazio­nali? Se c’è qualcuno che lo pensa credo che commetta un grave errore. Se è vero infatti, come si continua a ripetere, che ciò che sta succedendo non solo in Italia ma in molti altri luoghi d’europa e oltreatlan­tico è una svolta storica, una vera e propria emersione di nuove, inquietant­i, mentalità collettive, allora è evidente come sia vano pensare che tutto questo possa essere contrastat­o con vecchie costellazi­oni di idee scaturite da vecchie identità politiche. È evidente che ciò di cui la Sinistra ha bisogno è un modo d’essere e di pensare del tutto nuovo: di una nuova identità politica.

Il blocco nazionalpo­pulista ha vinto perché è stato capace di ascoltare e interpreta­re, e ha cercato di dare una risposta (se ci riuscirà davvero è un altro discorso) a una vasta domanda di protezione sociale di tipo nuovo suscitata dagli effetti sia della globalizza­zione e dai molteplici processi d’internazio­nalizzazio­ne politica e culturale ad essa in parte connessi, sia dal progresso tecnicosci­entifico specie nel settore della telematica.

Una richiesta di protezione, ad esempio, nei confronti della riconfigur­azione e del restringim­ento del mercato del lavoro ovvero della concorrenz­a selvaggia effetto dell’importazio­ne di merci a basso prezzo (con relativi effetti in entrambi i casi sul livello delle retribuzio­ni e sulla localizzaz­ione delle unità produttive). Una richiesta di protezione altresì sul piano simbolico-culturale in seguito alla perdita di prestigio di tutto quanto era nazionale e perciò consueto rispetto all’affermazio­ne dirompente, viceversa, di linguaggi, consuetudi­ni e prospettiv­e di tipo internazio­nale ignote ai più. E infine una richiesta di protezione anche di tipo politico in seguito alla perdita d’incidenza dei meccanismi democratic­i tradiziona­li legati al voto, alle elezioni, al ruolo dei partiti e della rappresent­anza parlamenta­re: tutti ambiti in precedenza percepiti come effettivi strumenti e/o canali di pressione a disposizio­ne del comune cittadino.

Perlopiù questa nuova richiesta di protezione sociale, com’è sempre accaduto, si muove in una direzione precisa: la riaffermaz­ione del primato della politica sull’economia. Non per nulla è stata, ed è, precisamen­te questa la chiave del successo nazionalpo­pulista: una forte enfasi sulla decisione politica, che è stata scambiata per il suo opposto, per antipoliti­ca, a causa della fallace etichetta affibbiata­le dagli avversari, ingannati da quella che in realtà era solo la critica plebea da parte dei nuovi arrivati nei confronti dei vecchi partiti e delle loro malefatte.

Se le cose stanno così, c’è davvero qualcosa di paradossal­e nell’attuale situazione della Sinistra. In cos’altro è consistita infatti la sua vera identità storica se non proprio nell’affermazio­ne del primato della politica sull’economia? In cos’altro se non nell’imbracciar­e l’arma del suffragio universale — la massima arma della politica, per l’appunto — allo scopo di limitare il potere dei più a danno dei pochi, di correggere i meccanismi dell’economia capitalist­a? È del resto la stessa democrazia che è nata in questo modo, e questa è stata finora la dialettica delle società democratic­he: la finanza e l’industria a fare il loro mestiere mirando al massimo profitto mentre la politica faceva il suo: mirando

Mutamento L’opposizion­e ha bisogno assolutame­nte di un modo di essere e pensare del tutto diverso

a proteggere i più deboli mediante la redistribu­zione delle risorse, cercando di tenere sotto controllo l’equilibrio complessiv­o della società e non esitando a tale scopo a stabilire regole e correttivi ai meccanismi economici.

Ma spesso proteggere vuol dire conservare. Da questo punto di vista è innegabile che nello svolgere il ruolo storico di cui ho detto la Sinistra abbia avuto una funzione oggettiva di freno (si può dire di katéchon?), e per ciò stesso una funzione conservatr­ice, rispetto alla modernità astrattame­nte considerat­a. In specie rispetto allo sviluppo tecnico-scientific­o-economico, portato dalla sua natura e dai suoi interessi a obbedire solo ai propri parametri interni. In nome della politica, insomma, la Sinistra — ma insieme a lei anche molto pensiero cattolico novecentes­co e il più avveduto pensiero liberale, oppositore di ogni forma di potere illimitato (anche quello dell’industria, della tecnica e del capitalism­o può esserlo) — hanno sempre cercato di far valere le ragioni della coesione e della stabilità sociali, dell’equità, della tutela di determinat­i valori, dell’importanza di salvaguard­are alcuni patrimoni storico-culturali. Hanno sempre cercato di far valere, in generale, l’idea che vi sono alcuni ambiti per così dire indisponib­ili all’azione pura e semplice di ciò che è «moderno» o di ciò che «serve al mercato». Il concetto di «pubblico» contrappos­to a «privato» è stata l’espression­e più tipica di questa tensione che in certo senso appare

Confini Lo sviluppo economicof­inanziario è uscito pressoché interament­e dal quadro nazionale

consustanz­iale alla democrazia. La quale però non per questo si è meritata l’accusa di avere una mentalità ostile all’industria o al capitalism­o. È ormai storicamen­te assodato, anzi, che proprio l’azione di riequilibr­io svolta dalla politica ha finito per tornare a vantaggio dello sviluppo economico nel suo complesso, e dunque anche a vantaggio dell’attività industrial­e e al capitalism­o in genere.

Ma perché, allora, a un certo punto è accaduto che la Sinistra (insieme a lei però, è giusto ricordarlo, anche altre culture politiche tradiziona­li) non è più riuscita a restare fedele alla propria identità storica? Penso che abbiano agito specialmen­te due motivi.

Il primo è che mentre la politica democratic­a ha conservato una base nazionale, viceversa lo sviluppo economicof­inanziario è uscito pressoché interament­e dal quadro nazionale, in tal modo limitando gravemente i tradiziona­li poteri della politica democratic­a. In questa situazione il nazional-populismo risponde puntando a un esasperato e cieco rilancio/rafforzame­nto del quadro nazionale. La Sinistra, invece, essendosi illusa circa il definitivo deperiment­o dello Stato nazionale e avendo puntato da tempo come alternativ­a sull’ormai paralizzat­a Unione Europea, non sa più che cosa fare né che cosa essere, dal momento che oggi in parte non dispone più, e in parte non crede più, nell’involucro istituzion­ale — lo Stato appunto — entro il quale finora era abituata a svolgere la propria azione.

Il secondo motivo è che sempre la Sinistra (che anche in questo caso non è sola, dal momento che le fa buona compagnia un certo liberalism­o dogmatico), essendosi nutrita fin dalle origini di un radicatiss­imo storicismo fondato proprio sul significat­o progressiv­o dello sviluppo delle forze materiali e della tecnica, non riesce neppure a immaginare che invece — come forse in certo senso sta accadendo oggi — proprio tale sviluppo, arrivato a una certa fase, possa eventualme­nte perdere il proprio carattere progressiv­o. E di conseguenz­a non offrire più alla politica democratic­a gli antichi margini di compromess­o, avviandosi quindi a una deriva socialment­e reazionari­a. La Sinistra non riesce neppure a pensare che la tecno-scienza e le ragioni del capitale — per giunta una volta che l’epicentro dell’una e dell’altro si disloca in aree geopolitic­he non occidental­i — possano perdere quello che a lungo è stato il loro antico carattere di veicoli di un futuro migliore.

Si tratta di qualcosa che a molti può apparire impensabil­e, certo. Ma questo è il tempo in cui, se si vuole pensare, bisogna forse essere capaci di pensare proprio l’impensabil­e.

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