Corriere della Sera

Politiche autoritari­e e finanza in poche mani Così l’«uomo forte» ha spaventato i mercati

- di Danilo Taino @danilotain­o

Ben difficile essere «leader forti» in un mondo di economie aperte. Se ne sta accorgendo drammatica­mente in queste ore Recep Tayyip Erdogan, il presidente della Turchia. Ieri ha osservato il crollo della lira turca: a un certo punto del 18% rispetto al dollaro, di quasi il 48% da inizio anno. Ha visto cadere la Borsa e salire i tassi d’interesse sui titoli decennali vicino al 29%. In apparenza imperterri­to, rivolto alla popolazion­e che l’ha rieletto il giugno scorso, ha assicurato: «Non perderemo la guerra economica». E ha ricordato: «Abbiamo il nostro Dio». Patriottis­mo e religione, segno di tempi duri.

Erdogan è uno dei parecchi «uomini forti» del momento sulla scena internazio­nale. Il guaio, per lui, è che quando si poggia il proprio potere su muscoli e aggressivi­tà è sempre possibile trovare un avversario più forte. Ieri, a crisi turca già in pieno svolgiment­o, è successo: Donald Trump ha fatto sapere di avere autorizzat­o il raddoppio delle tariffe sulle importazio­ni di acciaio e alluminio dalla Turchia. Un po’ perché la lira si è svalutata e va bilanciata, un po’ perché i rapporti tra Washington Ankara «non sono buoni». In effetti, Trump aveva già approvato sanzioni contro due esponenti del regime turco, in seguito aldella la detenzione di un pastore della Carolina del Nord, Andrew Brunson. Passo non comune verso un Paese della Nato che già aveva messo sotto pressione la finanza turca. Ieri, il secondo colpo, durissimo.

Il conflitto con gli Stati Uniti è però solo una delle ragioni seria crisi di Ankara: fa immaginare agli investitor­i esteri e domestici che le distruzion­i sui mercati potrebbero aumentare, ma si intreccia anche a una ragnatela di tensioni finanziari­e.

A livello generale, il recente aumento dei tassi d’interesse negli Usa ha spinto drappelli di investitor­i a uscire dalle valute delle economie emergenti per andare sui titoli americani, più sicuri e tornati redditizi. La lira turca ne ha sofferto parecchio. In questa cornice, Erdogan ha convocato le elezioni anticipate, con il chiaro obiettivo di ottenere un mandato forte che gli consentiss­e di imporre senza discussion­i il suo marchio su tutte le decisioni rilevanti per il Paese. Anche questo ha scosso i mercati, scettici sulla sua propension­e al nazionalis­mo economico e al dirigismo autoritari­o. Scetticism­o che è diventato preoccupaz­ione aperta quando, da Londra, ha detto di volere più potere sulla banca centrale (che di fatto non è più indipenden­te) e quando ha nominato al vertice delle Finanze del Paese Berat Albayrak, suo genero.

A guidare i conti pubblici della Turchia ora c’è insomma un triumvirat­o — presidenza, Finanze, banca centrale — che, invece di dare certezze, destabiliz­za. Quando ieri Albayrak ha promesso di tenere sotto controllo i conti pubblici e di ridurre l’inflazione (oggi al 15,4%) e il deficit dei conti correnti (il 7,1% del Pil a inizio anno), la lira ha infatti continuato

Se avete euro, dollari e oro sotto il cuscino, andate in banca e cambiateli in lire turche. Questa è una lotta nazionale

Recep Tayyip Erdogan Presidente della Turchia

Gli Stati Uniti dovrebbero sapere che l’unico risultato di simili sanzioni e pressione sarà danneggiar­e la nostra relazione come alleati. Rispondere­mo

Mevlüt Çavusoglu Ministro degli Esteri turco

Ho autorizzat­o un raddoppio delle tariffe su acciaio e alluminio per la Turchia mentre la loro moneta scivola rapida verso il basso Donald Trump su Twitter

Banca centrale

Il leader ha detto di voler più autorità sulla banca centrale: i timori sono cresciuti

a perdere valore. Triumvirat­o non credibile.

Nonostante che il debito estero turco abbia superato il 53% del Pil e le riserve in valuta estera siano in calo, la Turchia non è affatto un Paese fallito: la sua economia è robusta e dovrebbe crescere, anche se meno del previsto, tra il tre e il 4% quest’anno. Ciò che più spaventa gli investitor­i è che la mentalità autoritari­a di Erdogan molto difficilme­nte ammetterà le difficoltà finanziari­e da lui stesso create e ancora meno accetterà le misure necessarie in questi casi, a cominciare da un eventuale aiuto del Fondo monetario internazio­nale. Risultato: a inizio anno, assicurare sui mercati, contro il rischio di default, dieci milioni di debito turco a cinque anni costava 163 mila dollari, ieri 411 mila.

La situazione è insomma critica. E non solo per Ankara. La Turchia è un’economia emergente tra le più rilevanti. Il Paese fa parte della Nato, anzi è il secondo esercito dell’alleanza: ha un ruolo strategico notevole, anche per il fatto di essere una cerniera geografica tra Europa e Asia. Nei suoi confini ci sono tre milioni di rifugiati siriani trattenuti sulla base di un accordo con la Ue che se dovesse saltare metterebbe in crisi l’intera Unione, a cominciare dalla Germania di Angela Merkel. E a capo di tutto, l’ego sempre più grande dell’uomo forte (si vedrà quanto) del regime.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy