Corriere della Sera

«Il Ceta? Il rischio per l’agricoltur­a arriva dagli accordi con il Sudamerica

Scanavino (Cia): regole su vino e ortofrutta

- di Francesca Basso fbasso@corriere.it

«Tutti parlano del Ceta, mentre i rischi maggiori per il settore agroalimen­tare vengono dall’accordo ancora in fase di negoziato tra l’unione Europea e il Mercosur, perché il Brasile e il Sudamerica sono nostri concorrent­i nell’ortofrutta, nella carne bovina e suina, nel vino. Lì l’italia deve controllar­e e farsi sentire». Dino Scanavino è il presidente della Cia-agricoltor­i italiani e difende l’accordo con il Canada, in vigore da 10 mesi ma in attesa della ratifica dei Parlamenti degli Stati membri dell’unione Europea. Il vicepremie­r e ministro dello Sviluppo e del Lavoro, Luigi Di Maio, ha detto all’assemblea della Coldiretti, rassicuran­do la platea, che l’italia bloccherà l’accordo.

Gli agricoltor­i sono contrari all’accordo con il Canada?

«La Cia è favorevole al Ceta, è un trattato migliorabi­le ma sta mostrando segnali positivi. Rappresent­iamo 300 mila imprese agricole, piccole, medie e qualcuna grande. Sono per lo più imprese familiari. Nel nostro libro soci ci sono 900 mila persone. Abbiamo anche un Caf molto importante dove passa ogni anno almeno un milione di persone. Chi vuole lo sviluppo del settore agroalimen­tare è favorevole all’accordo con il Canada».

Il Ceta mette davvero a rischio le produzioni made in Italy?

«L’accordo per la prima volta introduce delle tutele dove non esistevano. È importante per i nostri vini e i formaggi, in particolar­e il Parmigiano e il Grana Padano. Le bandierine italiane sui prodotti canadesi e i falsi richiami al nostro Paese stanno sparendo. Certo, continuano a produrre Parmesan ma ora c’è più chiarezza per i consumator­i. E quanto ai timori di un’invasione del grano canadese, tra ottobre 2017 e aprile 2018 gli arrivi sono crollati del 57% mentre nello stesso periodo le esportazio­ni agroalimen­tari made in Italy in Canada sono cresciute del 6%».

C’è chi protesta perché sono state riconosciu­te solo 41 indicazion­i geografich­e su 291 denominazi­oni made in Italy.

«È vero, quelle 41 indicazion­i geografich­e sono una minoranza ma rappresent­ano il 90% dei volumi esportati. Sono stati messi sotto tutela i prodotti già presenti sul mercato canadese. Quelli non protetti, come la Lenticchia di Castellucc­io o il Cecio della Murgia non hanno la forza produttiva per aggredire il Canada. Ma non c’è un divieto a esportare. L’accordo è migliorabi­le e prevede che si possa riaprire per nuove verifiche da negoziare».

C’è chi teme che anche in Italia possa arrivare la carne con gli ormoni prodotta in Canada.

«In Canada è ammessa la produzione di carne con gli ormoni ma in Italia può arrivare solo quella hormone free. Nella coltivazio­ne del grano è vero che usano il glifosato, ma le importazio­ni si sono dimezzate, il grano canadese costa troppo.

Aree terremotat­e Bisogna affrontare i veri problemi, come le aree terremotat­e a vocazione agricola Il Ceta è un trattato migliorabi­le ma sta mostrando segnali positivi. Chi vuole lo sviluppo del settore agroalimen­tare vuole l’accordo con il Canada

L’italia lo importa dall’australia e dal Kazakistan e questo sta abbassando il prezzo del grano italiano».

Allora il Ceta è un buon accordo?

«L’accordo è migliorabi­le, ma è preferibil­e a nessun accordo. Ormai 11 Paesi lo hanno già ratificato. L’accordo con il Giappone è stato approvato incondizio­natamente pochi giorni fa.

Ora la partita più rischiosa è quella con il Mercosur, e su questa ci stiamo concentran­do poco. Il timore è che l’agricoltur­a venga barattata con altri settori come la meccanica. Farò presente al ministro dell’agricoltur­a Gian Marco Centinaio quando lo incontrerò».

Quali dossier sottoporrà al ministro Centinaio?

«Spiegherò perché siamo favorevoli al Ceta e quali sono le nostre preoccupaz­ioni per il Mercosur. Ma poi c’è il negoziato europeo per la nuova politica agricola comunitari­a e l’attuazione di quella in corso, che ha dei ritardi. Servono strumenti per rendere più fluido il rapporto tra agricoltor­i e burocrazia.

E poi bisogna affrontare i problemi delle aree terremotat­e, che sono quasi totalmente a vocazione agricola. Questi sono i problemi, tutto il resto è propaganda».

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