Dov’è il topless? Perché non nuoti?
«Cocco per lui! Cocco per lei! Cocco pure per i gay!». Ascoltavo la verve poetica del venditore napoletano, sulla spiaggia della Marmorata (Santa Teresa Gallura), dove eravamo andati a ripararci dal vento di ponente, e pensavo al dilemma in cui si sarebbe trovato Matteo Salvini: applaudire la scorrettezza politica o protestare per l’ambulante sulla sabbia?
Le spiagge sono un palcoscenico: tutte. Offrono scenografie e trame, dialoghi e riflessioni, gerarchie e astuzie. Le preoccupazioni sui vaccini si mescolano al metodo per portare un porcetto fino a Roma senza congelarlo (ascoltata ieri, risposta: sottovuoto). Fino a una ventina d’anni fa giornalisti e politici attingevano a piene mani da questa riserva sociologica. Ora molto meno, ed è un peccato. Invece di chiudersi dentro inutili convegni, i dirigenti del Partito democratico dovrebbero venire qui. Ma sappiamo come andrebbe a finire: litigherebbero sul fattore di protezione solare e si dividerebbero in cinque correnti.
Quante cose, invece, su cui riflettere. Ne cito due. La prima: perché nessuno nuota? Le piscine in città sono piene, i nostri giovani campioni spopolano in Europa: ma in mare la gente conversa e galleggia. Se nuota, si ferma dopo cinque bracciate. Le stesse persone, prima e dopo, le trovi mentre corrono affrante sotto il sole, per tenersi in forma. Non capisco.
Della seconda faccenda ci occuperemo su 7 giovedì prossimo: dov’è finito il topless? La questione — che abbiamo affidato a Irene Soave — è tutt’altro che banale. È subentrato il timore del sole o è cambiato il senso del pudore? È cambiata la legge, è cambiata la moda, è cambiato lo sguardo? Ricordo cos’erano queste spiagge nei primi anni Ottanta: era più facile trovare un sarago parlante, o un socialista umile, che il pezzo sopra del bikini. Oggi il sesso è pubblico, roba da prima serata televisiva. Ma il seno è tornato privato.
Andateci, alla Marmorata: possibilmente entro le nove del mattino, per trovare parcheggio. È un pezzo d’italia, un deposito di carni fresche e loquaci, un ritrovo di bambini euforici. C’è anche un mio libro cotto dal sole, tra quelli in prestito, che compete indomito con gossip e fumetti. Non manca un simpatico ecomostro, alle spalle: lo vedo da trent’anni e ho finito con l’affezionarmi. La vegetazione, anno dopo anno, lo ingentilisce: tra i balconi, qualche sbuffo di oleandro. Guarda le bocche di Bonifacio e aspetta di diventare antico. Prima o poi ce la farà.