Il caso del trasloco Bekaert in Romania Rispunta l’ipotesi Cassa integrazione
Potrebbe essere riattivata quella per cessazione d’impresa, abolita nel 2015
La cassa integrazione per cessazione dell’impresa — cancellata dal Jobs act nel 2015 — potrebbe tornare a brevissimo. Addirittura già a settembre. Lo ha annunciato il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio durante la visita di venerdì scorso al presidio dei lavoratori della Bekaert di Figline Valdarno, in provincia di Firenze. Di fatto un’inversione di rotta rispetto alle novità introdotte da governo Renzi che aveva cercato di ridurre la durata degli ammortizzatori e il loro perimetro di accesso per dirottare risorse ed energie sulla Naspi (l’assegno di disoccupazione) abbinata alle politiche attive (quelle che aiutano i disoccupati a trovarsi un nuovo posto).
Come il governo pentaleghista intenda la nuova cassa integrazione per i lavoratori delle imprese che chiudono è tutto da vedere. Ma lo si scoprirà presto: Di Maio ha promesso che interverrà per decreto in tempo utile perché i lavoratori della Bekaert ne possano approfittare.
Quindi, calendario alla mano, entro il 4 ottobre. Resta da vedere quali saranno i paletti all’accesso del nuovo (anzi vecchio) ammortizzatore. Durata in primis. Ma anche numero minimo di dipendenti coinvolti dalla procedura. In questa fase di ripresina il numero delle imprese che chiudono tour court è contenuto, ma si tratta comunque di una misura che — applicata alla generalità delle attività — richiederebbe una mobilitazione di risorse rilevante. Un nuova incognita quindi, da inserire nella difficile equazione della tenuta dei conti pubblici.
Ovviamente soddisfatti i lavoratori della Bekaert. Il gruppo belga ha deciso di chiudere in Toscana e di andare a produrre i suoi cavi in acciaio in Romania. I sindacati, Fiom in testa, avevano già chiesto il ripristino della cassa per cessazione.
Sembrava non ci fosse margine. Poi venerdì il cambio di rotta. Di ammortizzatori a settembre si sentirà parlare anche per un altro motivo. Tra cassa integrazione e contratti di solidarietà, le aziende oggi possono contare al massimo su tre anni di interventi. E per molti la riserva sta arrivando agli sgoccioli.