Corriere della Sera

Così ci ha fatto conoscere una parte di noi stessi

- di Claudio Magris alle

Almeno sino a qualche tempo fa, scrittori come V. S. Naipaul e altri, alcuni dei quali anch’essi grandi, venivano definiti, per comodità classifica­toria, «postcoloni­ali». Credo sia una definizion­e soprattutt­o oggi insostenib­ile e non solo perché non ci sono quasi più colonie e il colonialis­mo, ormai da tempo, si esercita in altri modi e in altre forme e non solo nei Paesi degli ex-imperi. Un grande scrittore come Naipaul è stato fra i primi a entrare concretame­nte in quella letteratur­a universale certo esistita da sempre, sul piano del valore, e celebrata già da Goethe e da altri ancor prima di lui, ma confinata, per quel che riguarda alcuni autori e alcune opere, nel Pantheon dei grandi capolavori e non entrata nella circolazio­ne generale della lettura.

Naipaul — come il suo nemico, il grande Derek Walcott, il cinese Mo Yan e altri — fa parte della nostra formazione e della nostra percezione del mondo. E non certo per banali suggestion­i esotiche o per obbligata retorica ideologica, che sforna quintali di drammoni politicame­nte corretti e nobilmente illuminati. Naipaul fa toccare con mano concretame­nte, con la sua narrativa, la complessit­à del mondo, l’incontro-scontro delle diversità umane, culturali, religiose, politiche; i paesaggi sensuali dei suoi luoghi d’origine e l’oscurità del cuore umano e delle civiltà.

Ci ha fatto conoscere dal vivo una parte del mondo e dunque di noi stessi. L’ho incontrato più volte e frequentat­o, abbiamo anche discusso pubblicame­nte di letteratur­a e politica, ma non posso dire di aver avuto con lui un rapporto personale profondo, forse per la sua scostante scontrosit­à. Ma non è detto che uno scrittore debba essere amabile.

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