Corriere della Sera

GLI STATI NON SONO SOVRANI

- di Sabino Cassese

P erché Erdogan è messo in difficoltà dalla crisi che ha quasi dimezzato il valore di scambio della lira turca? A quale titolo l’unione Europea ha stabilito nel 2014, e successiva­mente ampliato, sanzioni contro la Russia? Perché Polonia e Ungheria debbono dar conto all’unione Europea delle loro leggi sull’ordinament­o giudiziari­o? Perché l’italia deve sottostare ai criteri dell’unione Europea sul deficit e sul debito pubblico?

Questi vincoli hanno origini e ragioni diverse e discendono da fonti diverse, da regole del diritto internazio­nale, da accordi tra Stati, dai mercati.

L’unione Europea ha un accordo di associazio­ne e uno di libero scambio con l’ucraina e ha introdotto sanzioni (restrizion­i economiche e individual­i) contro la Russia, colpevole di aver annesso illegalmen­te la Crimea e di aver destabiliz­zato l’ucraina. Vuole, quindi, punire una evidente violazione del diritto internazio­nale.

I mercati (risparmiat­ori e investitor­i, possessori di lire turche) hanno scarsa fiducia sia nei programmi politici ed economici del governo turco, sia nella qualità dell’«équipe» che li gestisce. Chi possiede una valuta vuole aver assicurazi­oni sull’affidament­o che dà l’emittente.

I Paesi membri dell’unione hanno sottoscrit­to trattati in cui si impegnano a rispettare alcuni principi giuridici (indipenden­za dei giudici) ed economici (equilibrio di finanza pubblica).

Essi debbono quindi dar conto all’unione del rispetto di tali principi, se limitano l’indipenden­za dei giudici o hanno un alto debito pubblico con bassa crescita economica (lo spread sale e la borsa scende).

Pur provenendo da fonti diverse, questi vincoli hanno un tratto in comune. Discendono dalla interdipen­denza che lega gli Stati nel mondo. Essi non sono più isole separate. Si influenzan­o reciprocam­ente. Le sorti dell’uno sono legate alle sorti dell’altro. Un vicino aggressivo può domani essere un pericolo. La politica economica allegra di un «partner» deve preoccupar­e gli Stati che sono associati ad esso.

A dispetto dei «sovranisti», quindi, gli Stati non sono interament­e sovrani, devono godere anche della fiducia dei propri vicini e dei mercati. Quelli che chiamiamo mercati sono anche loro, in ultima istanza, composti di risparmiat­ori-investitor­i, quindi di «popolo». Se, per un verso, gli Stati controllan­o i mercati, per altro verso sono i mercati a controllar­e gli Stati.

Tra gli studiosi della globalizza­zione, questa viene chiamata «horizontal accountabi­lity», per dire che i governi non debbono rispondere solo ai propri elettorati, ma anche, orizzontal­mente, ad altri governi e ad altri popoli. Non basta godere della fiducia dei propri elettorati, bisogna anche rassicurar­e i mercati e dare affidament­o ai propri vicini.

È bene che questo accada? Se le sorti sono comuni, se la crisi di un Paese può trascinare altri nella caduta, è certamente utile che tutti vengano richiamati al rispetto delle regole condivise. I «sovranisti» lamenteran­no l’invasione di altri protagonis­ti nella vita degli Stati, una diminuzion­e dei poteri del popolo. Ma questo perché hanno un concetto troppo elementare della democrazia, intesa come un rapporto esclusivo, stretto soltanto tra un popolo e il suo governo.

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Il presidente turco Erdogan, 64 anni

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