Corriere della Sera

Quei batteri mortali negli ospedali

Resistono a tutti gli antibiotic­i e si annidano anche tra tubi e cateteri Sterilizza­re ogni cosa nei reparti può non bastare

- Di Giuseppe Remuzzi Troncana

Come mai un bimbo muore a pochi giorni dalla nascita in un ospedale? Il caso di Brescia, dove un neonato è morto per un’infezione da Serratia marcescens, è uno dei 7.000 che si verificano ogni anno in Italia. Soprattutt­o nelle terapie intensive. Perché lì ci sono i pazienti più fragili, trattati con antibiotic­i ad ampio spettro. Negli anni si formano ceppi di batteri resistenti. E poi in questi reparti si usano cateteri e tubi che favoriscon­o le infezioni. I rimedi ci sono, ma funzionano solo un po’.

C hissà quanti, nel leggere del neonato dell’ospedale di Brescia, si saranno chiesti come sia possibile che nel 2018 una vita appena cominciata debba già finire per le conseguenz­e di un’infezione mai sentita, da Serratia marcescens appunto. Invece può succedere e di fatto succede, da noi (in Italia muoiono di infezioni contratte in ospedale settemila persone l’anno) come negli altri Paesi d’europa, come anche negli Stati Uniti — in America Latina e in Asia le vittime sono molte di più —. E succede soprattutt­o nelle terapie intensive.

Ma perché proprio lì? È in questi reparti che ci sono i pazienti più fragili, tante volte i mm uno compromess­i, trattati—ed è giusto così—con antibiotic­i ad ampio spettro per curarne altre di infezioni, altrettant­o gravi. Così col passare degli anni si sono selezionat­i ceppi di batteri molto pericolosi che resistono a tutti gli antibiotic­i o quasi. E poi in terapia intensiva ci sono cateteri, tubi di ogni genere, si fanno tracheotom­ie e fori nello stomaco per chi non può alimentars­i. Tutte cose necessarie, intendiamo­ci, che purtroppo favoriscon­o le infezioni ospedalier­e: affliggono il 20 per cento di chi è sottoposto a cure intensive, da noi come in Francia, in Inghilterr­a e negli Stati Uniti.

Che fare? In tutti i grandi ospedali del mondo ormai ci sono regole ferree create proprio per aiutare medici e infermieri a prevenire le infezioni. Funzionano, ma solo un po’. Anche perché nelle terapie intensive i germi colonizzan­o tutto, non solo i dispositiv­i medici ma tutto quello che c’è intorno: supporti, sponde dei letti, computer, telefonini e persino i disinfetta­nti. Si sterilizza quello che si può, ma più fai e più non basta. La cosa fondamenta­le resta lavarsi — benissimo — le mani.

Quanto ai neonati, di tutti quelli che muoiono al mondo il 30 per cento non ce la fa a causa di infezioni (dal 3 al 10 per cento nei Paesi ricchi, ma in Africa si arriva al 75 per cento). Nonostante tutto dalla metà dell’ottocento — quando era più pericoloso farsi operare che andare in guerra — a oggi i progressi sono stati enormi e continuano, anno dopo anno; non arriveremo però a eliminare del tutto le infezioni ospedalier­e, non nei prossimi 20 anni quanto meno.

Il motivo sta anche nel fatto che certi batteri hanno imparato a resistere agli antibiotic­i: sono soprattutt­o il Clostridiu­m difficile, gli Stafilococ­chi resistenti alla meticillin­a, gli Enterococc­hi resistenti alla vancomicin­a, la Klebsiella.e come se non bastasse ci sono virus e funghi che in ospedale diventano più aggressivi.

Anche la Serratia si conta fra le infezioni ospedalier­e; fuori vive nell’umido, nei bagni specialmen­te, la si può trovare nelle fughe fra le mattonelle e dà una colorazion­e rossa a quello che infetta, basta disinfetta­re con la candeggina e va via tutto. In ospedale è diverso, la si trova un po’ dappertutt­o, nel cibo ma anche nell’acqua, nel latte, nel sapone, persino nei dispenser dei disinfetta­nti. E anche la Serratia ha imparato a resistere agli antibiotic­i per via di certi geni che la proteggono dall’attacco delle sostanze chimiche. Provoca polmoniti (negli adulti specialmen­te) e gastroente­riti nei bambini, che sono difficilis­sime da curare.

Il rosso viene da una sostanza con un nome che è tutto un programma: «prodigiosi­na», forse per via del miracolo di Bolsena. Siamo nel 1263, dall’ostia della messa esce un liquido rosso che colora l’altare e le dita del prete, sembra il sangue di Cristo e se ne convince persino il Papa (Urbano IV) che lo considera evento straordina­rio, divino. Ma Joanna Cullen di una Università della Virginia negli anni Novanta del secolo scorso prova a incubare ostie non consacrate con colture di Serratia marcescens, nel giro di tre giorni compaiono macchie rosse che ricordano in modo impression­ante quelle del dipinto commission­ato a Raffaello per celebrare il miracolo.

 ??  ?? RossoIl Serratia marcescens in una illustrazi­one al computer: il batterio, che ha contagiato 10 neonati in terapia intensiva agli Spedali civili di Brescia, si trova comunement­e negli ambienti umidi, nei bagni per esempio. In ospedale è ovunque
RossoIl Serratia marcescens in una illustrazi­one al computer: il batterio, che ha contagiato 10 neonati in terapia intensiva agli Spedali civili di Brescia, si trova comunement­e negli ambienti umidi, nei bagni per esempio. In ospedale è ovunque

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