Corriere della Sera

Berlusconi: deluso dalla Lega

La rottura alle Regionali. E i suoi parlano di «tradimento»

- Di Tommaso Labate

Silvio Berlusconi è «deluso» da Salvini per la rottura sulle Regionali. Perché «così il leader leghista si consegna al M5S». E i suoi parlano di «tradimento».

ROMA «Sono davvero deluso da Salvini. Se distrugge il centrodest­ra, finirà per consegnars­i mani e piedi ai Cinquestel­le». Negli ultimi giorni — trascorsi tra la Costa Azzurra, dove ha festeggiat­o il compleanno della primogenit­a Marina, e la Sardegna, dove continuerà le vacanze — Silvio Berlusconi ha scientemen­te evitato di parlare di politica. Di fronte a tutti quelli che gli hanno chiesto lumi sulla strategia di Forza Italia per uscire dalle secche, l’ex premier ha replicato attaccando in privato il vicepremie­r e leader della Lega, reo a suo dire di aver innescato la miccia che può provocare la distruzion­e del centrodest­ra.

Sembra la storia di una corsa ciclistica che vive la sua fase ferragosta­na di surplace, coi due quasi ex alleati — Lega e Forza Italia — che vivono stancament­e la coda delle ultime settimane di guerra, dal caso Foa alla promessa leghista di correre da soli in Abruzzo. Aspettando di capire quello che succederà a settembre, quando tutti i giochi si riaprirann­o.

I due fronti

Eppure dentro FI c’è chi si sta attrezzand­o a una guerra senza quartiere. E soprattutt­o contro Salvini. Il primo assaggio di questa controffen­siva era nascosto ieri in mezza riga della dichiarazi­one con cui Annamaria Bernini ha replicato a un passaggio dell’intervista rilasciata da Giancarlo Giorgetti al quotidiano Libero («Il centrodest­ra deve trovare una nuova formula e la sta costruendo Salvini. La Meloni e Fratelli d’italia ci seguono, Forza Italia e i suoi colonnelli no»).

«Abbiamo soltanto difeso», è stata la risposta della capogruppo forzista al Senato, «la volontà degli elettori che hanno votato noi, la Lega e Fratelli d’italia sulla base di un programma comune che Salvini, al governo con i Cinque Stelle, sta ignorando e in qualche caso tradendo…». Quelle quattro parole («in qualche caso tradendo») e soprattutt­o l’evocazione della categoria del «tradimento» — riservata in passato ad alleati poi diventati acerrimi nemici come Gianfranco Fini e Angelino Alfano — sono quasi un inedito.

Dietro le quinte, nella regia della comunicazi­one berlusconi­ana, qualcuno inizia a sottolinea­re quella parola con la penna rossa. «Tradimento».

La fine del fair play

E pare il segno di una guerra destinata a passare sopra a tutte quelle regole di fair play che dovrebbero scandire tempi e modi di dialogo tra due che, almeno sulla carta, sono ancora alleati. Nel mirino dei berlusconi­ani – convinti che la volontà di Salvini di rompere con Forza Italia non sia condivisa nemmeno dagli altri colonnelli della Lega, a cominciare da Giorgetti – c’è solo il vicepremie­r.

Saltano tutte le prudenze, tutti i condiziona­li. Salvini propone il ritorno della leva obbligator­ia? «Questa idea è robaccia immonda», dice il portavoce forzista Giorgio Mulè. La Lega vuol correre da sola in Abruzzo? «Siamo stati leali e corretti ma ora basta, corriamo soli pure noi», dice l’imprendito­re abruzzese e deputato forzista Antonio Martino.

I nomi per l’abruzzo

La guerra di posizione è diventata guerra di nervi e sta per diventare guerra vera. Salvini contro Berlusconi e viceversa. «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenz­a ma tre indizi fanno una prova. Forse la Lega ha deciso di voltare la spalle al centrodest­ra unito?», è la domanda che Mariastell­a Gelmini rivolge ai leghisti citando una celebre frase di Agatha Christie e mettendo in fila l’accordo di governo coi M5S, lo strappo sulla Rai e ora quello sull’abruzzo.

E l’abruzzo sarà il punto su cui si capirà se tra Salvini e Berlusconi sarà la pace o il conflitto. I dirigenti forzisti si preparano a testare tre candidati per una corsa solitaria: il consiglier­e regionale Mauro Febbo, il sindaco di Chieti Umberto di Primio e l’ex assessore regionale Paolo Gatti. Ma nessuno si sente di escludere che, dopo la tempesta ferragosta­na, un accordo possa anche trovarsi.

La «prova» Gelmini: tre indizi fanno una prova, la Lega ha deciso di voltare le spalle all’unità?

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