Corriere della Sera

Un flop la marcia dei neonazisti Usa Washington li isola: «No ai razzisti»

All’atteso raduno dei suprematis­ti poche decine di partecipan­ti Migliaia invece ai contro cortei. Ma l’estrema destra è sdoganata e in autunno correrà al Congresso

- dall’inviata a Washington Marilisa Palumbo (Reuters)

L a domenica della capitale è interrotta ogni tanto dalle sirene e dal rombo degli elicotteri, mentre i jogger continuano la loro corsa mattutina. È passato un anno dai cortei dei suprematis­ti bianchi a Charlottes­ville, e dalla morte di Heather Heyer, investita da un’auto lanciata deliberata­mente in direzione di un gruppo di contromani­festanti. E oggi ci si ritrova qui, a Washington, dove Jason Kessler, la mente di quel «Unite the right rally», ha deciso di far confluire i suoi sostenitor­i dopo che gli sono stati negati i permessi per un macabro bis «sul posto». Attraverso il sito aveva dato poche istruzioni: portare acqua, una bodycam, una bandiera americana o confederat­a. Niente armi, mazze o coltelli. Del resto la polizia li controlla a uno a uno: l’appuntamen­to è alle due alla stazione della metro Vienna, appena fuori il District of Columbia. Il pavimento è pieno di volantini con la scritta «L’odio non ha casa qui»: Hate free zone. Per tutto il giorno, in diversi punti della capitale, vanno in scena affollate manifestaz­ioni anti razziste, da Black lives matter agli anarchici di Antifa, ma soprattutt­o tanta gente comune. Pochissimi, molti meno dei quattrocen­to attesi, invece i «kesslerian­i» che le forze dell’ordine scortano fino a Foggy Bottom e poi a Lafayette square, davanti alla Casa Bianca. I due mondi vengono tenuti dala polizia a decine di metri di distanza.

Il movimento

È stato un anno difficile per l’estrema destra: le sue tante sigle si sono divise, scontrate, rimescolat­e. Molti dei leader sono spariti dalla scena, Richard Spencer, il «padre» della alt+right, ha dovuto cancellare il suo tour nei campus e di lui quasi non si sente più parlare. «Per molti attivisti Charlottes­ville era il debutto in una manifestaz­ione pubblica, non erano preparati a tanta attenzione e si sono ritirati online», spiega Vegas Tenold, autore di Everything You Love Will Burn: Inside the Rebirth of White Nationalis­m in America. Del resto, spiega, «È quella la loro sottocultu­ra: questa nuova ondata di suprematis­ti è nata su Reddit, 4chan, Twitter».

La rete

Questo non significa affatto che non siano ancora un movimento influente, anzi. «Hanno un network incredibil­e di podcast di enorme successo», dice Tenold. Come Alex Jones, l’estremista che ha visto esplodere i download del suo programma bannato da Facebook. «L’amara verità è che sono riusciti a introdurre le loro idee nel mainstream: per la prima volta quest’anno stiamo vedendo un gruppetto di candidati politici che espongono liberament­e questo tipo di posizioni di estrema destra».

I candidati

Come Arthur Jones, che considera l’olocausto «la bugia più grande e la più nera della Storia» e che corre per i repubblica­ni in un distretto solidament­e democratic­o dell’illinois. O come Paul Nehlen, un leader della alt+right che domani parteciper­à alle primarie Gop in Wisconsin, nel seggio lasciato libero dal ritiro dello speaker della Camera Paul Ryan. O come Rick Tyler, in corsa per il Congresso in Tennessee: ha realizzato dei cartelloni pubblicita­ri con la scritta «Make America White Again». Tyler è un grande sostenitor­e di Trump, sul suo sito una bandiera confederat­a sventola sulla Casa Bianca. In Virginia il candidato repubblica­no al Senato è Corey Stewart, uno che in passato si è fatto vedere in compagnia di Kessler. «Molti non saranno eletti — spiega Tenold — ma il punto è che vanno avanti dicendo quello che dicono. E sono parte della continua esplorazio­ne del razzismo da parte del partito repubblica­no».

I confederat­i di Donald

Il regista Spike Lee, che ha voluto far uscire il suo film sul Ku Klux Klan proprio nell’anniversar­io di Charlottes­ville, dice che Donald Trump è un megafono per razzisti e nazionalis­ti. Tenold elabora: «Io credo che Trump abbia visto una opportunit­à nella rabbia e nel razzismo, e abbia deciso di sfruttare le divisioni razziali in questo Paese. La sua elezione è diventata la prova che l’america è pronta a votare dividendos­i per razza e genere, e questo ha incoraggia­to questo tipo di candidati». Alla vigilia del raduno il presidente ha twittato contro «ogni tipo di razzismo e atto di violenza». Non abbastanza per i suoi critici, che hanno sentito l’eco dell’equivalenz­a tracciata l’anno scorso quando condannò «entrambi i gruppi». Una uscita considerat­a anche dai sostenitor­i il momento più basso della sua presidenza. La first daughter Ivanka non ha lasciato spazio ad alcuna ambiguità: «Gli americani hanno la benedizion­e di vivere in una nazione che protegge la libertà di parola e la diversità di opinioni, non c’è posto per il suprematis­mo bianco, il razzismo e il neonazismo nel nostro grande Paese».

d L’amara verità è che sono riusciti a far passare le loro idee: per la prima volta vediamo candidati politici che espongono liberament­e posizioni di estrema destra

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Nazionalis­ti bianchi Il leader suprematis­ta Jason Kessler sfila alla manifestaz­ione di ieri a Washington, nel primo anniversar­io del raduno di Charlottes­ville

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