Corriere della Sera

1997 Un bagno senza folla Il mio sogno di Ferragosto

La nostra storia Questo è il mese in cui ci accorgiamo di essere troppi Le autostrade si ingorgano, dei treni meglio non parlare. E anche il mare, quando non infetta, brulica. E allora perché non fare la festa di «Finìmola», come il nome che i contadini d

- Di Giovanni Sartori ( Massimo Siragusa/contrasto)

S iamo troppi. Lo sappiamo dalle statistich­e. Tra non molto saremo, sul nostro modestissi­mo pianeta, sei miliardi. Quando nascevo, se ricordo bene, eravamo sui due miliardi. Per sopravvive­re stiamo sempre più distruggen­do la natura che ci consente di vivere. Abbattiamo foreste, desertific­hiamo terre fertili, sciupiamo l’aria, inquiniamo fiumi, laghi e mari, e l’acqua dolce già non basta più. Queste sono cose che sappiamo in astratto, appunto dalle statistich­e. Ma l’agosto è, quantomeno per gli italiani, il mese nel quale ci accorgiamo in concreto, toccandolo con mano, di essere troppi. Le autostrade si ingorgano, dei treni è meglio non parlare, e gli aeroporti, Fiumicino in testa, sono bolge dantesche. E per scalare, e anche morire, sul Monte Bianco si fa la coda.

Quando poi il grosso dei «troppi» arriva alla meta più agognata, al mare, allora i troppi davvero si contano. Sulle spiagge roventi gli ombrelloni fanno a gomitate e, non potendo invadere la strada retrostant­e, entrano quasi in acqua. E anche il mare, quando non infetta, brulica. Se ti provi a nuotare in bello stile picchi subito nella ciccia circostant­e; e se cerchi scampo al largo rischi di essere affettato dalle eliche che ti ronzano attorno e addosso.

Il bagno di folla, e anche di folla in bagno, davvero ci piace? Visto che i nostri bagnanti ferragosta­ni non sono comandati, visto che non sono obbligati a «spiaggific­arsi», forse ai nostri ferragosta­ni il bagno di folla — stare tutti appiccicat­i, sudati, unti, insabbiati — forse piace davvero. Ma forse no. Perché i forzati delle vacanze all’italiana un po’ «forzati» sono. Andarsene per Ferragosto per noi è un dovere. Chi resta in città, a casa, disonora il casato: è un poveraccio che porta scritto in fronte di essere un morto di fame. Insomma, schiuma della terra.

Comunque, anche se ci piace essere troppi, il fatto resta che davvero troppi siamo. Il biblico «Crescete e moltiplica­tevi» è un’esortazion­e di altri tempi che andava bene sin quando sulle carte geografich­e si scriveva hic sunt leones, qui stanno i leoni. Va ancora bene? Per Papa Wojtyla, sì; ma per le persone sensate non può andar bene. Il cupio multiplica­ndi è oramai una folle voluttà di autodistru­zione, un cupio mortis.

A che serve e a chi serve la nostra dissennata corsa alla moltiplica­zione incessante? In Africa serve a far crescere il numero dei morti per denutrizio­ne o in eccidi tribali; in America Latina e molte altre parti povere del mondo per cancellare la crescita economica con una ancor maggiore crescita di bocche da sfamare. Non sono mai stato in Cina (il solo Paese intelligen­te che cerca davvero di limitare le nascite); ma sono stato in India, e il formicaio umano di esseri scheletric­i che ho visto nel Gange e dintorni mi ha terrorizza­to. Perché crescere? Perché moltiplica­rsi? Per mal vivere e, alla fine, mal morire in un pianeta brucato sino all’ultimo cespuglio da miliardi e miliardi di uomini-capra?

Torniamo al Ferragosto. La Chiesa ha ritenuto di solennizza­re il mezzomese sacro degli italiani facendone una festa della Madonna. Ma, dico la verità, non vedo il nesso. L’assunzione della Madonna può essere celebrata in qualsiasi giorno dell’anno (tanto non si sa). E sprecare il Ferragosto a questo modo mi sembra proprio peccato. Volendone fare una festa religiosa io la dedicherei — pensando ai «troppi» — a San Poppone (vero), o ancor meglio a San Popoloso (inventato), un santo che immagino seduto, sempre più grosso e grasso, su una Terra sempre più piccola. E volendone fare una festa utile, una festa benefica, proporrei che venga chiamata la Festa di Finimola.

Finìmola era il nome, nelle famiglie contadine toscane del passato, appioppato, mi pare, alla settima femmina; un nome che stava appunto per dire «ora basta» (finìmola è il dialettale di finiamola, di facciamola finita). Gran saggezza dei contadini antichi. E sarebbe gran saggezza nostra se oggi dedicassim­o il Ferragosto a Finìmola chiamandol­a affettuosa­mente santa Finìmola. Perché no? I santi assegnati al 15 agosto sono tutti di poca fama: San Alipio, San Alfredo, San Arduino, Santa Limbania, San Neapulo, San Tarcisio. Una santa Finìmola in più non stonerebbe affatto. Anche io, in vacanza, ho un sogno: di poter tornare al mare nell’anno di grazia 2100 trovandolo pulito e visibile (dalla spiaggia dove siedo). Le probabilit­à che quel mare sia proprio io a vederlo sono infinitame­nte basse; ma anche le probabilit­à che quel sogno si avveri per i miei pronipoti tanto buone al momento non sono. A meno che non intervenga, si diceva, santa Finìmola.

Senza via di scampo

Se provi a nuotare in bello stile picchi subito nella ciccia circostant­e, al largo le eliche ti ronzano intorno e addosso

● È stato editoriali­sta del Corriere della Sera

 ??  ?? Ombrelloni Un’affollatis­sima spiaggia a Giardini Naxos, in provincia di Messina, in una foto dell’estate 1997 L’autore
Ombrelloni Un’affollatis­sima spiaggia a Giardini Naxos, in provincia di Messina, in una foto dell’estate 1997 L’autore
 ??  ?? ● Giovanni Sartori, nato a Firenze nel 1924 e morto a Roma nel 2017 all’età di 92 anni, è stato uno dei più importanti politologi e sociologi degli ultimi cinquant’anni● Nel 1950 il suo primo incarico universita­rio in campo filosofico. Nel 1956 iniziò a insegnare politologi­a. Dal 1979 al 1994 ricopre la cattedra «Albert Schweitzer Professor in the Humanities» alla Columbia University. È stato professore emerito di Scienza politica all’università di Firenze Nel 2005 riceve il Premio Principe delle Asturie, considerat­o il «Nobel delle scienze sociali»
● Giovanni Sartori, nato a Firenze nel 1924 e morto a Roma nel 2017 all’età di 92 anni, è stato uno dei più importanti politologi e sociologi degli ultimi cinquant’anni● Nel 1950 il suo primo incarico universita­rio in campo filosofico. Nel 1956 iniziò a insegnare politologi­a. Dal 1979 al 1994 ricopre la cattedra «Albert Schweitzer Professor in the Humanities» alla Columbia University. È stato professore emerito di Scienza politica all’università di Firenze Nel 2005 riceve il Premio Principe delle Asturie, considerat­o il «Nobel delle scienze sociali»
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