Noi, loro, cioè tutti I viaggi di Naipaul
L’addio allo scrittore che anticipò i drammi delle migrazioni verso l’occidente e i dilemmi dell’identità senza folclorismi Le radici indiane e un celebre cattivo carattere
Scompare con V.S. Naipaul uno dei maggiori scrittori del secolo scorso, romanziere di classe superiore, facilitato, se così si può dire, nel suo successo internazionale (che, infatti, gli valse il Premio Nobel per la Letteratura) da quel «valore aggiunto» alle sue opere che ad altri scrittori occidentali, magari di pari valore, è mancato nei medesimi anni, relegandoli nelle retrovie della fama. Questo «valore aggiunto», continuo a chiamarlo in questo modo, consiste nel «fortunato» — anche se assai spesso doloroso — incontro del cammino di uno scrittore con i grandi temi del momento storico in cui è vissuto, nonché in una sorta di confine geografico determinato dal suo luogo di nascita e dalla sua provenienza razziale. È, tale valore «aggiunto», un elemento di interesse, di forza, di attrazione — per il lettore che vive in un mondo completamente diverso, per nulla scalfito, o soltanto lontanamente consapevole di certe realtà la cui narrazione e la cui descrizione sono affidate a una letteratura «antica» o di genere — un elemento fondamentale di vitalità, una spinta della curiosità al nuovo, che fanno dei romanzi di questo scrittore «fortunato» uno scrittore imprescindibile. Quando poi, come nel caso di V.S. Naipaul, all’«esotismo» delle vicende e dei personaggi, si accoppia la straordinaria perizia letteraria, ecco che ci troviamo di fronte a uno scrittore magnifico, di cui bisogna leggere tutto, ma proprio tutto.
Nato nell’isola di Trinidad da genitori induisti, e vissuto fino alla prima giovinezza in un ambiente tipicamente induista, dunque a tutti gli effetti indiano, Naipaul arriva alla fama internazionale con quello che, secondo molti (me compreso) è considerato il suo capolavoro: Una casa per Mr. Biswas. Questo è un romanzo possente, molto divertente, pieno di personaggi, ricco di tutte le tipologie famigliari (la suocera, il suocero, i vari parenti, gli amici invadenti perché troppo gentili, i seccatori, i bambini, gli animali, le tradizioni, gli obblighi, e via discorrendo) che presto avremmo imparato a riconoscere nella successiva esplosione della narrativa indiana, che possiede l’impianto e la ricchezza che, in Occidente, avevano e hanno soltanto i romanzi di Dickens. Un giorno, il ragazzo che ci ha precipitato in questo mondo così complicato, confuso, dispersivo e forse troppo (per lui) coinvolgente, decide di abbandonare la famiglia e le sue tradizioni e di trasferirsi in Inghilterra. Il frutto di questo viaggio — animato da una ricerca profonda di novità, da un senso drammatico di spaesamento, da una sorta di rancore preventivo — è un altro romanzo (difficile, ma notevole) di Naipaul, che si intitola L’enigma dell’arrivo. Qui, il tradizionale viaggio letterario verso l’india, culminato dal romanzo che batte ogni altro romanzo del genere per profondità e destrezza di stile, vale a dire Passaggio in India di Edward Morgan Forster, è completamente capovolto. Non siamo più «noi» che andiamo: sono «loro» che vengono; non siamo più «noi» che guardiamo e ci stupiamo, sono «loro» che guardano e si stupiscono; non siamo più «noi» che non capiamo e ci troviamo di fronte a dei muri invalicabili o a delle imboccature di misteriose caverne, sono «loro» che non capiscono, che vedono innalzarsi muri di diffidenza e di incomprensione, e faticano, faticano terribilmente per mettere da parte quel rancore preventivo e adattarsi alla nuova vita verso la quale sono stati sospinti dai movimenti del mondo.
C’è infine il romanzo conradiano, di Naipaul, intitolato Sull’ansa del fiume, ambientato nel mondo cosmopolita dei trafficanti della East coast africana (cinesi, indiani, arabi, europei, diplomatici occidentali semidistrutti dall’alcol) che va letto a tutti i costi. Questo romanzo è praticamente il contrario di Cuore di tenebra. Perché anche in questo romanzo la presenza di un battello sempre in procinto di partire verso il centro del continente oscuro è fondamentale, ma appunto «al contrario» rispetto al romanzo di Conrad, in quanto veicolo di salvezza dal male che è sulla costa, dalla corruzione, dal torbido mondo che, soltanto pochi decenni fa, ha creato in quel luogo disgraziato dell’africa, dopo le ferite del colonialismo, tutte le condizioni dell’attuale disperazione.
Occidente e Oriente, restare o partire, pelle bianca e pelle scura, miseria o ricchezza? Quale altro scrittore poteva anticipare nella sua opera, testarda e dura, temi così attuali? Quale altro scrittore — di superbo talento — poteva con tanta caparbietà e tanta «sprezzatura sentimentale», descrivere le premesse drammatiche, affondate nel fango dell’ignoranza o dell’ignavia, delle realtà nelle quali viviamo? Naipaul lo ha fatto senza indulgere a neppure un briciolo di folclore, senza piegarsi a nessun vezzo, a quelle pennellate di maniera che attraggono sulle prime il lettore e svaniscono appena tracciate. Perché Naipaul è uno scrittore implacabile. Lo scrittore «necessario» (basta leggere il reportage Un’area di tenebra in cui descrive il suo ritorno in India, con tutto il fastidio che può esprimere un essere umano che ama il suo Paese). Lo scrittore al quale si poteva perdonare persino il suo leggendario cattivo carattere.