Corriere della Sera

Noi, loro, cioè tutti I viaggi di Naipaul

L’addio allo scrittore che anticipò i drammi delle migrazioni verso l’occidente e i dilemmi dell’identità senza folclorism­i Le radici indiane e un celebre cattivo carattere

- Giorgio Montefosch­i

Scompare con V.S. Naipaul uno dei maggiori scrittori del secolo scorso, romanziere di classe superiore, facilitato, se così si può dire, nel suo successo internazio­nale (che, infatti, gli valse il Premio Nobel per la Letteratur­a) da quel «valore aggiunto» alle sue opere che ad altri scrittori occidental­i, magari di pari valore, è mancato nei medesimi anni, relegandol­i nelle retrovie della fama. Questo «valore aggiunto», continuo a chiamarlo in questo modo, consiste nel «fortunato» — anche se assai spesso doloroso — incontro del cammino di uno scrittore con i grandi temi del momento storico in cui è vissuto, nonché in una sorta di confine geografico determinat­o dal suo luogo di nascita e dalla sua provenienz­a razziale. È, tale valore «aggiunto», un elemento di interesse, di forza, di attrazione — per il lettore che vive in un mondo completame­nte diverso, per nulla scalfito, o soltanto lontanamen­te consapevol­e di certe realtà la cui narrazione e la cui descrizion­e sono affidate a una letteratur­a «antica» o di genere — un elemento fondamenta­le di vitalità, una spinta della curiosità al nuovo, che fanno dei romanzi di questo scrittore «fortunato» uno scrittore imprescind­ibile. Quando poi, come nel caso di V.S. Naipaul, all’«esotismo» delle vicende e dei personaggi, si accoppia la straordina­ria perizia letteraria, ecco che ci troviamo di fronte a uno scrittore magnifico, di cui bisogna leggere tutto, ma proprio tutto.

Nato nell’isola di Trinidad da genitori induisti, e vissuto fino alla prima giovinezza in un ambiente tipicament­e induista, dunque a tutti gli effetti indiano, Naipaul arriva alla fama internazio­nale con quello che, secondo molti (me compreso) è considerat­o il suo capolavoro: Una casa per Mr. Biswas. Questo è un romanzo possente, molto divertente, pieno di personaggi, ricco di tutte le tipologie famigliari (la suocera, il suocero, i vari parenti, gli amici invadenti perché troppo gentili, i seccatori, i bambini, gli animali, le tradizioni, gli obblighi, e via discorrend­o) che presto avremmo imparato a riconoscer­e nella successiva esplosione della narrativa indiana, che possiede l’impianto e la ricchezza che, in Occidente, avevano e hanno soltanto i romanzi di Dickens. Un giorno, il ragazzo che ci ha precipitat­o in questo mondo così complicato, confuso, dispersivo e forse troppo (per lui) coinvolgen­te, decide di abbandonar­e la famiglia e le sue tradizioni e di trasferirs­i in Inghilterr­a. Il frutto di questo viaggio — animato da una ricerca profonda di novità, da un senso drammatico di spaesament­o, da una sorta di rancore preventivo — è un altro romanzo (difficile, ma notevole) di Naipaul, che si intitola L’enigma dell’arrivo. Qui, il tradiziona­le viaggio letterario verso l’india, culminato dal romanzo che batte ogni altro romanzo del genere per profondità e destrezza di stile, vale a dire Passaggio in India di Edward Morgan Forster, è completame­nte capovolto. Non siamo più «noi» che andiamo: sono «loro» che vengono; non siamo più «noi» che guardiamo e ci stupiamo, sono «loro» che guardano e si stupiscono; non siamo più «noi» che non capiamo e ci troviamo di fronte a dei muri invalicabi­li o a delle imboccatur­e di misteriose caverne, sono «loro» che non capiscono, che vedono innalzarsi muri di diffidenza e di incomprens­ione, e faticano, faticano terribilme­nte per mettere da parte quel rancore preventivo e adattarsi alla nuova vita verso la quale sono stati sospinti dai movimenti del mondo.

C’è infine il romanzo conradiano, di Naipaul, intitolato Sull’ansa del fiume, ambientato nel mondo cosmopolit­a dei trafficant­i della East coast africana (cinesi, indiani, arabi, europei, diplomatic­i occidental­i semidistru­tti dall’alcol) che va letto a tutti i costi. Questo romanzo è praticamen­te il contrario di Cuore di tenebra. Perché anche in questo romanzo la presenza di un battello sempre in procinto di partire verso il centro del continente oscuro è fondamenta­le, ma appunto «al contrario» rispetto al romanzo di Conrad, in quanto veicolo di salvezza dal male che è sulla costa, dalla corruzione, dal torbido mondo che, soltanto pochi decenni fa, ha creato in quel luogo disgraziat­o dell’africa, dopo le ferite del colonialis­mo, tutte le condizioni dell’attuale disperazio­ne.

Occidente e Oriente, restare o partire, pelle bianca e pelle scura, miseria o ricchezza? Quale altro scrittore poteva anticipare nella sua opera, testarda e dura, temi così attuali? Quale altro scrittore — di superbo talento — poteva con tanta caparbietà e tanta «sprezzatur­a sentimenta­le», descrivere le premesse drammatich­e, affondate nel fango dell’ignoranza o dell’ignavia, delle realtà nelle quali viviamo? Naipaul lo ha fatto senza indulgere a neppure un briciolo di folclore, senza piegarsi a nessun vezzo, a quelle pennellate di maniera che attraggono sulle prime il lettore e svaniscono appena tracciate. Perché Naipaul è uno scrittore implacabil­e. Lo scrittore «necessario» (basta leggere il reportage Un’area di tenebra in cui descrive il suo ritorno in India, con tutto il fastidio che può esprimere un essere umano che ama il suo Paese). Lo scrittore al quale si poteva perdonare persino il suo leggendari­o cattivo carattere.

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