IL VIAGGIO A MADRID NEL NOME DELLE FIGLIE
Arenderli uniti e combattivi è l’idea che tutto possa finire senza un processo, senza un colpevole. Primo perché la tragedia fu grande: 13 studentesse in Erasmus (7 erano italiane, le loro figlie) morte nel groviglio di lamiere di quel bus che si schiantò nella notte del 20 marzo 2016 sulla superstrada di Freginals verso Barcellona. E poi perché gli investigatori della polizia catalana, i puntigliosi Mossos d’esquadra, avevano concluso la loro indagine con forti sospetti: «Si ipotizzano sonno e stanchezza del conducente come cause dirette dell’incidente... Dalle ore 4.29 alle ore 5.51 (orario dell’incidente, ndr) il tachigrafo digitale ha registrato 77 decelerazioni significative, mentre altri due autobus (che facevano parte della comitiva, ndr) ne hanno registrate 5 e 12... Uno studente dice di aver visto l’autista abbassare la testa come se si fosse addormentato. Una studentessa ha sentito toccare più volte la linea della carreggiata».
Di fronte a tali elementi, i genitori delle vittime tutto si aspettavano, tranne quello che è successo. E cioè che i magistrati di Amposta, competenti a indagare sulla strage, archiviassero il caso. «Non si ravvisa alcuna responsabilità così grave da essere punita penalmente», aveva deciso nell’ottobre del 2016 il giudice istruttore Gloria Granell Rul. «Non ci sono abbastanza indizi per la negligenza grave...», le ha fatto eco un anno dopo, nel settembre del 2017, il suo collega Eduardo Navarro, chiamato a occuparsi della vicenda dopo il ricorso delle famiglie. Due archiviazioni ma anche due impugnazioni, immediate, ferme, risentite, entrambe andate a buon fine. L’ultima riapertura è del giugno scorso, quando a disporre l’approfondimento è stata in secondo grado la Corte di Tarragona, «che ha chiesto alla stessa Granell una nuova attività istruttoria — spiega oggi l’avvocato Giorgio Volpatto che assiste i genitori di Serena Saracino, una delle vittime —. L’ispettorato del Lavoro dovrà accertare se il conducente aveva fatto i dovuti riposi e se aveva seguito gli aggiornamenti professionali di legge. Nuove verifiche dovrebbero riguardare anche il sistema di frenata del bus».
Così, la Corte di Tarragona. Nel frattempo, temendo una nuova archiviazione, con una mossa a sorpresa le famiglie hanno deciso di puntare in alto: governo centrale. «In luglio siamo andati tutti insieme a Madrid a parlare con il magistrato nazionale che sta seguendo per il ministero spagnolo la vicenda, alla presenza dell’ambasciatore italiano e del console a Barcellona — rivela oggi Gabriele Maestrini, padre di Elena —. Il magistrato (Mario Sanz Fernandez-vega, procuratore nazionale alla sicurezza stradale, ndr) ci ha confermato che anche dal suo punto di vista ci sono state delle anomalie nella gestione dell’indagine». Davanti a lui c’erano i genitori di Elena Maestrini, i papà di Francesca Bonello, Elisa Scarascia e Lucrezia Borghi e la madre di Elisa Valent. «Ci hanno rassicurato che un processo questa volta si farà, aspetto fiduciosa. Ma guardi che non è una questione di vendetta, solo di giustizia», sospira Anna Bedin, madre di Elisa.
Inevitabile il parallelo con una tragedia analoga successa in Italia quasi un anno dopo Freginals: la strage di Verona. Sempre un bus, sempre di notte, sempre uno schianto. Quell’incidente fece 17 vittime, tutti studenti. Ebbene, a maggio di quest’anno la procura veneta ha chiesto il rinvio a giudizio dell’autista per omicidio colposo plurimo: sbandò per un colpo di sonno.
«Ma io non mi sono addormentato, il bus si è spostato dalla parte posteriore, ho provato a raddrizzarlo ed è successo qualcosa al sistema di frenata... diventa pericoloso quando il manto stradale è bagnato», ha replicato in una dichiarazione spontanea Santiago Rodriguez Jimenez, il 62enne conducente del bus spagnolo, unico indagato per la strage. I Mossos d’esquadra la pensano diversamente: «Non sono emersi difetti ai freni... non pioveva».
Se ci sarà una nuova archiviazione, le famiglie hanno già deciso il da farsi: «Ricorreremo alla Corte di giustizia d’europa», assicura Maestrini. Con lui, la madre di Elisa: «La verità deve essere scritta perché le nostre figlie non si sono suicidate».
La mamma di Elisa
«Ci hanno rassicurato sul fatto che un processo si farà Per noi non è una questione di vendetta, solo di giustizia»