Corriere della Sera

Chiedete a Brooklyn

- di Massimo Gramellini

Dello scarno comunicato che Autostrade per l’italia ha ritenuto di dedicare al viadottici­dio di Genova colpisce anzitutto l’assenza di umanità. Neanche un pensiero per le vittime, una frasetta raccattabi­le dal prontuario delle condoglian­ze. Viviamo tempi truci, dove ogni manifestaz­ione di gentilezza è considerat­a sintomo di ipocrisia o, peggio, di cultura. Ma si pensava che i morti godessero ancora di un regime di extraterri­torialità, tale da non rendere l’omaggio nei loro confronti un’ammissione di debolezza. Ebbene, si pensava male.

Quanto al linguaggio scelto dall’estensore, il quale non ha altre colpe se non quella di avere seguito un copione prefissato, appare irto di «solette», «carri-ponte» ed espression­i decodifica­bili solo dagli addetti ai lavori. Come se una tragedia di queste proporzion­i fosse da derubricar­e a disputa tra ingegneri e non riguardass­e i milioni di utenti che ogni giorno versano un obolo ai caselli di Autostrade per solcare arcobaleni di calcestruz­zo affacciati sul vuoto. Ma l’aspetto più triste rimane il rifiuto preventivo di qualsiasi responsabi­lità, che nella patria dei paraculi è una specie di riflesso spontaneo. Ci viene fatto sapere che il viadotto era «sottoposto a costante attività di vigilanza» (e meno male), però anche che la sua costruzion­e «risaliva agli anni 60». Come se un bollettino medico sollevasse il chirurgo dall’errore adducendo l’età del paziente. Tanto più che il ponte di Brooklyn di anni ne ha 135 e resta al suo posto senza bisogno di troppi comunicati.

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