Corriere della Sera

La «Gronda», storia del piano che poteva evitare il peggio

Le battaglie dei comitati, nati prima dei No Tav Da dieci anni in piedi due ipotesi: nessuna soluzione

- DAL NOSTRO INVIATO Giampiero Timossi

GENOVA La guerra della Gronda inizia nel 1984: nel Ponente genovese stava crescendo il porto di Voltri e si pensò di costruire una nuova bretella autostrada­le. Doveva scaricare il peso del traffico da Ponte Morandi, dirottare i camion verso il quartiere di Rivarolo, dove inizia la Valpolceve­ra. E da lì agganciars­i all’autostrada che corre verso Milano. Il tracciato doveva attraversa­re il torrente Torbella e gli abitanti dell’omonimo quartiere dissero «no».

Il nome Gronda lo scelgono prendendo in prestito l’immagine dalle grondaie che trasportan­o l’acqua dal centro alla periferia. Un quarto di secolo dopo si continua a discutere di come superare il ponte, anche tra le lacrime, la polvere, e i tre elicotteri dei vigili del fuoco che atterrano e ripartono trasportan­do all’ospedale di San Martino i feriti. Li hanno estratti dalle macerie due, tre, cinque ore dopo il crollo. Davanti a quattro cadaveri, ai piedi di via Walter Fillak, Edoardo Rixi, genovese e sottosegre­tario alle Infrastrut­ture, risponde: «La verità è che qualcosa che permettess­e di scaricare dal traffico questo ponte doveva essere fatto già negli anni Ottanta. E invece, ora, siamo qui».

Storia della Gronda, delle sue mille ipotesi. Delle battaglie, delle discussion­i dei comitati per il No Gronda, che si affacciaro­no nella storia del Paese prima dei No Tav. Ma è il 2008 l’anno della svolta, quando a Genova è sindaca Marta Vincenzi. Da dieci anni, di fatto, restano in piedi due progetti: una soluzione che prevede un ponte basso, la Gronda Bassa. Doveva affiancare il Ponte Morandi, che appena aperto il passaggio sarebbe stato smantellat­o. La Gronda Bassa correva tra il vecchio gigante e le colline della Valpolceve­ra. Per realizzarl­a, però, si doveva trovare un’altra sistemazio­ne agli abitanti della zona. Sono anche le vecchie case dei ferrovieri, cha stanno a due passi dal torrente Polcevera e ora dalle macerie del pilone crollato ieri mattina. Sono le case dalle quali i vigili del fuoco e le forze dell’ordine fanno allontanar­e tutti, perché quel che resta del «Ponte di Brooklyn» continua a tremare.

Ma il dibattito, dieci anni fa, si fa pubblico e incandesce­nte. Ci sono 2,5 miliardi per costruire quel ponte basso, superare il vecchio. Ma il progetto viene bocciato. Passa un’altra soluzione, la chiamano Gronda Alta. Perché dal porto di Voltri si arrampica verso l’entroterra, in una delle due valli che chiudono Genova. Dovrebbe arrivare a Bolzaneto e poi riscendere verso Ponte Morandi, in un grande triangolo che passa per le periferie. In questo progetto il vecchio gigante non sarebbe stato né chiuso né abbattuto, ma alleggerit­o grazie al tracciato della nuova bretella. Per la Gronda Alta si dovrebbero sacrificar­e un’ottantina di alloggi, circa la metà del progetto alternativ­o. E sia Gronda Alta, approvata prima dagli enti locali interessat­i dal progetto, quindi dal ministero delle Infrastrut­ture. Con un costo che oggi è arrivato a superare i 5 miliardi di euro.

La costruzion­e non è ancora iniziata, «per completarl­a ci vorranno almeno sette o otto anni». Intanto Ponte Morandi è spaccato a metà. «Così Genova resta divisa, ci sarà per molto tempo una Genova Est e una Genova Ovest, come a Berlino ai tempi del Muro», spiega Enrico Musso, docente di Economia dei Trasporti all’università di Genova. «Intanto quest’anno i traffici del porto sono cresciuti del 15% , per l’emergenza si aprirà una nuova via al mare: doveva essere finita l’estate prossima, bisognerà fare di tutto per inaugurarl­a a ottobre», dice il sottosegre­tario Rixi. Ma non basta: «No, serve un commissari­o con poteri speciali per dare subito il via libera a un nuovo ponte basso, a fianco al Morandi, che verrà smantellat­o». Qualcosa (molto) simile alla Gronda Bassa? «Esatto, proprio così».

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